venerdì 2 dicembre 2011

La Setta (aka: The Sept) (aka: Dèmoni 4)

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Il quinto film del regista milanese di horror Michele Soavi, “La Setta” (The Sept) è una vera cagata. La pellicola inizia in California durante la Summer of Love del '69...

Mentre un gruppo di campeggiatori sono a far giocare i loro bambini nel deserto, un brizzolato incanutito “simil Charles Manson” interpretato dal solitamente male e sotto utilizzato, -invece che sarebbe sempre stato incisivo e di ottima, magnetica presenza- Tomas Arana già tra i protagonisti del precedente di Soavi, “La Chiesa” (The Church) ('89,) arriva e ben presto fa massacrare tutti dai come lui folli adepti del suo culto, appunto “La Setta” del titolo. Solo per compiere un rituale omicidio di hippy poi disvelato in un successivo -(se mi ricordo bene, è almeno vent'anni che non lo rivedo e non ci tengo proprio a dovermelo subire di nuovo)- macabro fotomontaggio. Salto di montaggio a Francoforte nella “contemporaneità” del 1991, dove vediamo i cultisti della setta di nuovo in azione- questa volta, la ciliegina sulla torta è un trasandato, malandato e allucinato Giovanni Lombardo Radice (il cui personaggio si chiama "Martin Romero", un sicuro tributo ad uno dei migliori film del maestro degli zombie, e di cui sono sicuro, visto il contesto in cui si è ritrovato inserito, il maestro di Pittsburgh avrebbe volentieri potuto fare a meno) che in un vagone della metropolitana per una sfavorevole e fortuita circostanza perde davanti a tutti un cuore di donna. In un turbinare davvero isterico di eventi, Radice è appunto da principio borseggiato in un vagone affollato della metropolitana, e quando il ladro tira fuori l'organo umano davanti a tutti, i passeggeri saranno in preda alle oramai scatenate scintille del panico. La polizia accorsa cattura infine Radice in una stazione affollata e tenendolo sotto tiro, -dopo anche alcune scene d'azione abbastanza prive di senso-, il cultista della setta riesce a impadronirsi di una delle pistole dei poliziotti e portandosela ovviamente in bocca, si fa saltare via l'intera testa.
Ahahaha...Ah!

Gli svolgimenti in tutto questo film non avranno da qui in avanti la benché minima credibilità, e non saranno nemmeno divertenti, in una sorta di B-movie senza spessore. Siamo introdotti al personaggio di Kelly Curtis (sorella di Jamie Lee) Miriam, una giovane maestra, che corre troppo in macchina investendo un anziano (Moebius Kelly, interpretato dal veterano attore Herbert Lom) mentre si reca al lavoro. Inorridita dall'accaduto per sua responsabilità, Miriam prende l'anziano in casa per la notte, nella quale lui si alza per fare qualcosa di veramente e merdosamente strano – far scivolare un grosso coleottero scarabeo o quel che  è dentro alle narici di Miriam, sempre prima che il gentile maestro compia una rapida fuga nel pozzo in cantina (la porta, è sembrato, è stata bloccata). Le cose diventano sempre più strane quando i membri del culto, tra cui Moebius, cominciano ad avvicinarsi a Miriam e le loro malevole intenzioni diventano presto chiare.

In definitiva, “La Setta” è un film confuso, nemmeno del tutto sicuro se voglia essere un thriller soprannaturale o un giallo. Questo può essere attribuito quasi interamente ad uno script maldestro -Argento è già in evidente crisi creativa quando scrisse questo, mentre il co-sceneggiatore Gianni Romoli è stato notato fino a quel momento per alcuni film italiani di serie C, ma poco altro. Romoli ha poi continuato a scrivere “Trauma” di Argento, “Dellamorte Dellamore” (altra cazzatona col botto ancora oggi da molte parti inspiegabilmente considerata positivamente) e una manciata di poco conosciute commedie e horror. Soavi stesso ci ha messo del suo in una sceneggiatura veramente del cazzo comprendente calabroni ma anche tanta palese ignoranza, alla maniera di un bambino con un pennarello nero permanente e un muro bianco. La recitazione è abbastanza orribile, e nonostante la presenza nel cast di nientemeno che Herbert Lom, e anche la sorella di Jamie Lee Curtis solitamente era brava, il migliore è seppur in una piccola parte il solito Giovanni Lombardo Radice, che pur piccola com'è, è molto bravo e rimane piacevole da guardare sullo schermo. Radice (che si è sbarazzato del suo nome anglicizzato come John Morghen, utilizzato per gran parte delle sue interpretazioni negli anni Ottanta) è una vera e propria icona dei film di genere italiani, seppur tardiva, co-protagonista con David Hess dello shocker diretto da Deodato del 1980 “La Casa sperduta nel parco”, e stridentemente interprete del folle Logan (un ruolo per cui è evidente che aveva un vero e proprio disprezzo) in “Cannibal Ferox” ('81) di Umberto Lenzi. L'interpretazione di Herbert Lom è anche lodevole, l'attore austro-ungarico, che è famoso per il suo ruolo del Commissario Dreyfuss nei film della “Pantera Rosa” interpreta l'anziano e demente cultista del pozzo. A parte queste poche qualità che possano risaltare, è tutto molto teso e gigionesco, una caratteristica tipica di molti film horror europei dei disgraziati anni '90, al tramonto del genere.

Michele Soavi era diventato una sorta di pupillo di Argento alla fine degli anni ottanta e per i primi anni novanta, e l'espansiva influenza surreale di Dario è qui chiara - ma rasenta il prepotente. In realtà, cazzo "sconfina" – riducendo la regia di Soavi ad un'accozzaglia di “sporchetti” mezzucci. Il regista emula il suo mentore in modo servile, in maniera che “La Setta” si possa presentare come qualcosa che Argento avrebbe girato negli anni Ottanta e, dato che siamo invece oramai già negli anni novanta, quando quest'ultimo è stato già colpito da uno dei crolli creativi più abissali, il risultato finale è molto lontano da qualsivoglia buona cosa. Da “La Setta”, sarà un caso ma Soavi stesso non ha più sviluppato alcuno stile personale di regia, mentre emerge già la fase nascente con il suo prossimo film “Dellamorte Dellamore” ('94) che sarà invece veramente orrendo e dilettantesco, peccato per uno come Soavi che ha operato come aiuto regista nell'ombra dei maggiori maestri dell'orrore Italiani per tutta la sua carriera. Sembra ipocrita sbattere solamente in faccia a Soavi gli attributi negativi di questo film che sono probabilmente attribuibili anche a ben altri, in tanti oramai coinvolti nel declino del genere horror europeo di quegli anni, ma c'era pur sempre un talento come Soavi, però oramai già oscurato, e una notorietà come quella di Argento che ha reso queste operazioni nient'altro di più che delle rimaneggiate inutili cazzate. E questo è proprio il caso de “La Setta”, masturbatoria, imitazione eccessivamente referenziale e copia carbone di sé stessa, che era evidentemente l'ordine del giorno di quel periodo di ben poca fervida ispirazione o creatività. Non c'è proprio niente che renda oggi questo film fresco, interessante da riscoprire o riosservare, e neanche come divertimento sotto forma di rivalutazione trash.

Per qualcuno, come me, che ha sempre scavato speleologicamente nei generi popolari e nell'exploitation italiana, “La Setta” si è sempre presentato fin dalla prima visione al cinema, come una delusione totale. Il film non è emozionante, non è ben fatto - e, soprattutto, è semplicemente una eco di alcuni dei peggiori lavori prodotti dal suo sceneggiatore/produttore, Dario Argento. Non è mai stato possibile, anche per i più smagati fan argentiani, parlare bene de “La Setta” ad alcuno. Io come tanti altri recensori, l'ho sempre trovato e senza alcun rammarico, quasi immensamente brutto. Molto simile se vogliamo azzardare persino un paragone, a delle bande di teppisti armati di coltello, questo è un film che, quando lo si incontrasse mai come loro per strada, richiederebbe un ben totale disprezzo, o un pestaggio selvaggio con un'arma molto più grande. A parte Radice che nel suo ruolo ha qualcosa in più, tutto il film nella sua stracca corporeità è da Evitare, evitare, evitare. L'unica cosa veramente bella è la fotografia di Raffaele Mertes (che in seguito avrebbe lavorato ancora con Argento su “Trauma”), l'aspetto migliore del film- anche se va detto, nella sua esuberante appariscenza non è nulla a confronto della qualità fotografica e d'illuminazione di “Suspiria”, “Inferno” e simili. Il prolifico e spesso bravissimo Pino Donaggio compone invece qui una colonna sonora assolutamente spuria, priva di personalità e riconoscibilità, assestando un altro colpo decisivo alla già inesistente atmosfera del film. Donaggio aveva già all'epoca circa centoventi film, tra l'Italia e gli Stati Uniti, nella sua carriera di compositore, tra i quali le molto famose o.s.t. di “A Venezia un dicembre rosso shocking” (Don't Look Now) ('73) di Nicolas Roeg, “Carrie, lo Sguardo di Satana” ('76), “Vestito per uccidere” (Dressed to Kill) ('80) e diversi altri, per Brian De Palma, mentre qui purtroppo come ispirazione non ci siamo proprio più. “La Setta”, secondo le “raccomandazioni” pubblicistiche dell'epoca in cui uscì, il 1991, offriva "Tanto Sangue" - un sacco di sangue. Una raccomandazione incandescente per andare sul sicuro con i fan ma che si è invece subito rivelata un caso anche eccessivamente plateale di lode e fiducia malriposte. Mentre il film si rivelò praticamente da subito come un fallimento totale, anche e soprattutto, commercialmente. Uno degli aspetti se vogliamo più straordinariamente deteriori, proprio de “La Setta” è la sua derivatività – nel 1991 abbiamo già visto quasi tutto, e lo abbiamo visto fare comunque molto meglio. La sceneggiatura di Argento, Romoli e Soavi è a dir poco goffa e fa capire come questo film fosse un lavoro di inutile routine, mentre qui l'abilità nella regia di quest'ultimo è seriamente discutibile. Radice, come sempre, è come ho già specificato super-cool, ma ha sì e no 180 secondi di tempo sullo schermo, potendo solo essere quindi ben lungi dall'impersonare una grazia salvifica per il film nel suo complesso. E poi viene persino bruciato vivo, se ben mi ricordo. Dario Argento ebbe evidentemente la genialata di applicare al bambino del film un tardivo ed ennesimo derivato dalla trama di “Rosemary's Baby” ('68) di Roman Polanski, sperando in cosa, in un successo? E' fin troppo facile certo, vedere in un film come questo i modi e i perché esso sia così una fregatura, ma ci vuole sicuramente una certa immaginazione a proporsi con una sceneggiatura in cui un uccello gigante mangia dei vermi, delle larve che fuoriescono da un buco nel collo di una donna! Il film ha sì una serie di folli, surreali, sequenze di forte impatto visivo, uniche invenzioni d'alto livello che rimangono come rimasugli dell'estro visivo e immaginifico mostratoci dall'ex pupillo di Argento nel precedente e ben superiore “La Chiesa” ('89), e sono comunque persino ben più incisive di quello che stava facendo lo stesso Argento negli anni 90 e oltre. Come horror italiano che vorrebbe funzionare molto bene sotto l'aspetto onirico del sogno, che copre e riempie gran parte della trama, non è abbastanza e pienamente disposto, a impegnarsi per riuscire a rappresentare credibilmente il mondo dei sogni, sembra ndo così di essere in conflitto con se stesso e riuscendo quindi veramente brutto quando cerca di sforzarsi a raccontare la storia. In pratica, se sei proprio un fan sfegatato di Argento, in particolare dell'Argento ancora ispirato ma già piuttosto sfocato del successivo “Trauma” ('93), potrai ancora persino “godere” di qualche -pochi- aspetto di questo film. E' un film horror dell'oramai asfittico e boccheggiante genere italiano di quel periodo, e in più molto brutto, ma anche se si può riconoscerglielo, in qualche termine positivo e con qualche intento non “involontario” estremamente grottesco, colorato, ma con uno stile che sarebbe -sarebbe- potuto e avrebbe dovuto, per risultare minimamente incisivo, essere molto più fiammeggiante. In alcuni paesi come anche negli Stati Uniti (in cui non è nemmeno mai uscito in dvd, e già questo la dice lunga) è noto persino come “Dèmoni 4”(dopo “La Chiesa”[Dèmoni 3]) , cioè sicuramente il film peggiore, rispetto agli altri script e progetti collaterali che Argento aveva prodotto e che comprendeva quella serie. Argento doveva anche dirigere il film, perché Soavi doveva girare un altro film, “Golem”, che fu poi fortunatamente -visti gli intenti e i risultati- abbandonato. Argento propose così a Soavi di dirigere la sua sceneggiatura. E che culo, Soavi!

Romero era stato chiamato per dirigere il film dopo che con lo scrittore / produttore Argento aveva appena co-diretto “Due occhi diabolici” (1990) con lui.

La prima vittima della setta si chiama "Marion Crane", un riferimento al personaggio di Janet Leigh in “Psycho”.

Oltre a nominare un personaggio Romero come George A. Romero, il nome di un altro personaggio è Martin. "Martin" è un precedente famoso film di George A. Romero.

La prima vittima degli anni novanta si chiama Marion Crane proprio come la prima vittima di "Psycho” e anche dalla stessa età (21 anni).

Napoleone Wilson


6 commenti:

  1. L'incipit della rece di Napoleone è da "Mè cojoni" castellariano. Eh, come darti torto, rivisto una manciata di giorni fa di notte, non riesco a salvarlo nemmeno io, niente, neanche una scena, e si che sono cintura nera di cazzate. Pensare che Michele era pupillo pure di Aristide Nostro.

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  2. Vedo con favore che piace davvero a tutti, stò film...Era già brutta già pure la locandina, in puro stile grafico Penta/Medusa, cioè orribile...

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  3. Sì. Garba davvero a tutti, questo film....

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  4. mi unisco alle risare di Gus, ahah! e va be', Napoleone, a fare i completisti è così... che poi ci sono anche i film che fan cagare ma in qualche modo riesci a divertirti con la rece, ma qua non avevi spazio manco per far battute tanta è la tristezza della pellicola :D

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  5. Grazie della menzione favorevole. Io il film intero non l'ho mai visto!!!
    Giovanni Lombardo Radice

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