mercoledì 31 marzo 2010

Katyn

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Cosa è stato il Massacro di Katyn lo lascio raccontare a wiki, evento storico a me sconosciuto prima di vedere il film e che invece è di grande importanza. Ci viene raccontato non solo cosa è avvenuto dall'invasione congiunta di tedeschi e sovietici della Polonia (n.b.: congiunta) nel 1939 fino al massacro nell'aprile del 1940, ma anche gli anni della successiva occupazione tedesca (il Molotov-Ribbentrop ormai era saltato) e quindi l'occupazione sovietica dal 1945 in poi.

Nel 1940 tutti gli ufficiali polacchi vennero sterminati. Quasi tutti gli studenti universitari e diversi professori erano tra loro. I tedeschi si occuparono di chiudere le università e decimare il mondo accademico nei lager. Risultato: alla fine della guerra la Polonia era quasi completamente priva della cosiddetta classe dirigente.
I sovietici ebbero così buon gioco nell'imporre il loro dominio. La sola cosa che non riuscirono a fare, pur imponendola con la propaganda e con la forza, fu di far passare il Massacro come opera dei tedeschi nel 1941, perché tutti i polacchi conoscevano la verità.

Il film, bello e ben fatto, è più intento a documentare i fatti, anche con immagini di repertorio, che a fare cinema di sensazione. E' Cinema di Denuncia e Memoria, importantissimo.
Quando però si arriva all'ultimo quarto d'ora quello che si vede, terribile, è mostrato con una intensità filmica eccezionale! Scene da brividi, per gli accadimenti, per come sono state riprodotte, per la musica, per quel diario che sfoglia nel futuro solo pagine bianche, per quel requiem su un frame completamente nero. Indimenticabile.

Assolutamente da vedere.

martedì 30 marzo 2010

Yossi & Jagger

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Siamo in un avamposto israeliano sul Libano. Yossi è l'ufficiale in capo, Jagger un sottoposto. Hanno una relazione, che per motivi comprensibili legati sia al pregiudizio che alle leggi militari, tengono clandestina. Durante un appostamento Jagger sarà drammaticamente ferito, ed allora...

Piccolo, a basso budget, ma grazioso film sul tema dell'amore in situazione di guerra, o meglio di Quella guerra. Il fatto che l'amore tra i protagonisti sia omosessuale a me interessa relativamente, porta loro delle difficoltà ulteriori, in particolare a Yossi che è in carriera più che al milite di leva Jagger.

L'amore ed il sesso sono un problema per tutti i giovani di quell'avamposto. La vita militare è rappresentante estremo del conservatorismo, con le sue rigidità comportamentali rappresenta un forte mezzo di contrasto e in questo risiede a mio avviso la scelta dell'ambientazione.

Contrariamente a quanto si può pensare, il film, che è girato soprattutto nei festival lesbo-gay, ha poi avuto un buon successo di pubblico, anche in Israele e nel suo esercito. Mi chiedo: ma se facessero un film sui gay nell'esercito italiano, magari tra i para' o i lagunari, si avrebbe lo stesso effetto?

Merita la visione.

lunedì 29 marzo 2010

Sketches of Frank Gehry - Frank Gehry Creatore di sogni

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L'ultimo atto come regista della grande carriera di Sidney Pollack, morto nel 2008, è questo film documentario, una novità per lui, ritratto del suo amico ed architetto Frank Gehry.

Gehry è riconosciuto come uno dei più grandi architetti viventi. Tra le tante opere che ne hanno decretato la fama, quella sicuramente più nota è il Guggenheim Museum di Bilbao, luogo d'incredibile bellezza che è diventato per la stessa città un simbolo e motivo di visita per numerosissimi turisti. Non ho resistito alla tentazione di salvarmi qualche frame con le immagini bellissime del museo.

La vita di questo architetto non ha connotati eroici. Piccoli problemi familiari, un divorzio con la prima moglie, ma niente di più. E' stato invece un personaggio di rottura coi cliché, se così vogliamo chiamarli, dell'architettura.

In tutta onestà non ho competenza per parlare di architettura, scultura ecc... .
Dico solo che è stata una visione piacevolissima, che consiglio.
Anche ai profani come me non può sfuggire la bellezza di certe creazioni.

L'Arte è creare qualcosa, il Lavoro è ripetere e copiare, e l'Arte soprattutto quando ben illustrata e spiegata diventa patrimonio diffuso e comune, quindi film come questo, incentrati in particolare sul momento creativo e sulla produzione che ne deriva, sono da osannare, in totale antitesi coi documentari biografici più incentrati sull'esaltazione del personaggio che delle sue opere.

Può piacere o meno l'opera di Gehry, come tutti i grandi personaggi ha chi lo critica, ma nessuno può negare il suo effetto dirompente su un campo che tende a tipizzarsi. Io di mio aggiungo, cosa che non è emersa forse a sufficienza nel film, che l'Architettura nasce come forma d'Arte. Non dimentichiamoci poi che molti dei grandi pittori e scultori del passato erano anche geniali architetti. Gehry quindi in ultima analisi è forse uno che, nella espressione libera delle forme a cui punta, in realtà spontaneamente ritorna a quello che era lo spirito originale dell'Architettura, prima che diventasse una professione.

Graveyard of Honor

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Inedito in Italia, è la storia di uno yakuza che, cominciata la sua "carriera" in modo casuale finisce per diventare un cane sciolto ingovernabile.

Rikuo Ishimatsu entra in un clan per aver salvato il suo capo da un'aggressione omicida. Immediatamente diventa un pupillo anche se i suoi modi duri e spietati, la sua violenza disumana, non trovano apprezzamento negli altri membri, inoltre è soggetto ad invidie. Durante una permanenza in carcere fa amicizia con un capo clan rivale anche se non nemico, col quale stringe un rapporto di fratellanza. Quando uscirà dal carcere Rikuo tornerà nel suo clan, solo che per un malinteso si sentirà tradito dal suo capo e lo ferirà quasi mortalmente. Si rifugerà dall'amico conosciuto in carcere, che lo difenderà dal clan d'origine che lo vuole morto. E non siamo arrivati nemmeno ad un terzo della trama...

Quella di Rikuo è un'epica dell'inferno, nemmeno immaginabili gli errori di valutazione che lo porteranno a farsi nemico ogni yakuza di Tokyo e solo la cameriera che aveva violentato agli inizi, ormai succube totale di lui, gli sarà sempre fedele, insieme all'amico del carcere, il solo a difenderlo nell'ambiente yakuza fino a quando gli sarà possibile. Per il resto diventerà scomodo e molto pericoloso per chiunque, un'iradiddio. Droga ed alcool lo chiuderanno definitivamente in un tunnel terribile.

Un film particolare, ma quale film di Miike non lo è? Parte con scarso appeal, sembra quasi una fiction nei primi minuti, poi è un crescendo di delirio che sembra non debba mai finire. La scelta delle riprese, anche le musiche, richiamano spesso al Noir alla Melville, poi lo stile complessivo è invece quello del Noir alla Miike, dove non ci si concede riserbo alcuno, nemmeno nei momenti più violenti, e qua e là scorrono torrenti di sangue.

Grandioso! Assolutamente imperdibile a mio parere.

Una breve considerazione...
La yakuza, in tutti i film jap (si veda anche i film di Kitano ad es.) che ho visto parlarne, ne esce sempre con l'immagine dello schifo che è, la sola possibile, anche quando come in questo caso il titolo rimanda al sentimento dell'Onore. Anche da noi quei criminali assassini catalogati in mafia, camorra, 'ndrangheta e compagnia, perlomeno i siciliani solevano chiamarsi uomini d'onore. Onore di che poi? Di ammazzare e sopraffare? La parola Onore è abusata, usata come sedativo.
Quello che m'importa evidenziare è che, a parte quella meraviglia di Gomorra, o anche I cento passi e Fortapàsc, i nostri film (e pure quelli americani!) raramente mostrano il vero volto, violentissimo e sanguinario, di queste associazioni. Quando dico che film tipo "il padrino" mi hanno fatto incazzare le persone mi guardano sorprese se non storto, ma la ragione è tutta lì: quelle merde di ominidi non sono eroi, non hanno morale, né valori, nessun rispetto per la vita umana e la convivenza civile, non hanno carisma... fanno schifo e basta. Persone dal QI ignobile, o più probabilmente guidate da interessi personali, si preoccuparono del fatto che Gomorra potesse nuocere all'immagine di Napoli e dell'italia. Ma quando mai!! Quello che nuoce è non ritrarre la mafia per quello che è!!! A loro, personaggi noti e meno noti che la pensano in quel modo, un solo saluto mi è spontaneo: 'fanculo.

Il Cinema è un messaggio facile ed universale alla portata di tutti, può fare la sua parte e la può fare bene o male. Desidero tanto che trasmetta, anche con trame e storie diverse, la giusta realtà della mafia. Non posso pensare alle risate che si fanno i provenzano e i riina guardando il padrino. Fatemi vedere, ma vedere davvero, i bambini che si sciolgono nell'acido, i corpi deturpati di capaci o via d'amelio, gl'incaprettati. Mostriamo anche le immagini scioccanti! 

Mi sono sfogato un po', questo pensiero me lo tenevo dentro da parecchio.
E' eRuttato.

domenica 28 marzo 2010

Il viaggio di Jeanne

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Jeanne parte col padre Albert alla volta della Svezia. In occasione di ogni compleanno egli gli organizza una vacanza particolare. Questa volta sono alla ricerca del tesoro di un famoso vichingo. La donna che gli aveva affittato la casa vicino al mare però aveva sbagliato a dare i giorni disponibili ed è pure in compagnia di un'amica. Alla fine si troveranno tutti e 4 a condividere la casa e la vacanza.

Jeanne ormai 17enne dovrà combattere col padre apprensivo per ritagliarsi un po' d'autonomia e poter vivere magari un primo amore proprio lì. Albert, separato da oltre 15 anni, comincerà a pensare che una delle 2 donne ospiti potrebbe anche essere un amore interessante. L'altra donna ha anche lei amori da recuperare...

Anche all'estero si casca quindi in quelle cagate di film tutto cicchi-cicchi pucci-pucci. Possiamo affermare con certezza che non è una pessima specialità carammellosa d'esclusiva italiana stile moccia-mucci-mocciose. Ho retto fino alla fine giusto perché l'ho visto gustandomi una splendida macedonia con panna, con le prime fragole, frutto che adoro, bontà dolce e sugosa, ma non sdolcinata.
Si salvano gli splendidi paesaggi marini agostani della Svezia ben ripresi, l'interpretazione divertente del personaggio Albert da parte di Jean-Pierre Darroussin e le belle musiche.

Si può tranquillamente non vedere.

The Fall of the House of Usher

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Corto del 1928, durata 13'. Intensa ed espressionista rappresentazione muta dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, per la cui trama vi rimando a Wiki.
Nonostante la durata è un'opera importante al punto da essere annoverata tra le opere più interessanti della cinematografia americana da preservare, a cura del National Film Registry.

Ho visto l'edizione della collana/festival Rimusicazioni, un dvd con disponibili ben 8 diverse interpretazioni musicali, diverse anche per genere. Alla fine, dopo averle saggiate tutte, mi sono goduto in particolare la rockeristica colonna sonora dei Supershock, musiche composte, suonate e cantate da Paolo Cipriano e Valentina Mitola.

Il modo in cui la visione del film cambia al cambiare della musica non è nemmeno descrivibile e con i Supershock ho trovato che le immagini, con quegli interni tagliati sempre in obliquo, le prospettive distorte, le visioni che ottenute con effetti pur semplici sono estremamente efficaci, diventavano estremamente moderne.

E' stata una visione molto interessante.
Un grosso ringraziamento all'amico Andreas Perugini di Bolzano, attivissimo coordinatore del Cineforum di Bolzano e grande appassionato e competente di Cinema, il quale mi sta procurando una selezione di questi dvd.

Tokyo!

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Tre episodi di circa 40' firmati dai 3 registi.

Interior Design di Michel Gondry.
Una giovane coppia arriva a Tokyo nella speranza di trovare lavoro e che il film (assurdo!) prodotto dal ragazzo ottenga riconoscimento. Ospiti presso un'amica, che "puzzeranno" presto. Casa non si trova, lavoro solo miserabile. Il ragazzo perlomeno qualcosa riesce a fare, ma lei è una barca senza rotta, e diventerà una sedia.

Merde di Leos Carax.
Un uomo denominato anche nei tg "Uomo delle fogne", d'allucinato aspetto con un occhio vitreo, villo rosso e barba barocca, unghie di nosferatesca memoria, vive nelle fogne che sono un condensato di timori e vergogne ancestrali. Ogni tanto emerge da un tombino in pieno centro gettando tutti nel panico. Alla seconda uscita getta a casaccio bombe a mano operando una strage. Il perché lo fa è ancora più non-sense.

Shaking Tokyo di Bong Joon-ho.
E' la storia claustrofobica di un hikikomori che vive in quasi totale isolamento nella sua casa da circa 10 anni. La casa è una "perfezione" di ordine dove quasi tutto viene conservato. Sarà costretto a guardare negli occhi una ragazza che consegna la pizza che mangia ogni sabato a causa di un terremoto che la farà svenire. La ragazza ha curiosi tatuaggi: sono dei bottoni in corrispondenza di comandi, come quelli dei computer, e premendoli si attiva la funzione.

Tre storie di incredibile fantasia! Sono di un'originalità e di un simbolismo tali da far pensare al miracolo intellettuale-visionario. Corea e Giappone, su questo fronte, sembrano fare fantascienza rispetto all'occidente. Mi sono piaciute tutte, soprattutto Merde e Shaking Tokyo.
Paure e leggende trasportate nella dimensione urbana della grande metropoli.

Non è uscito in Italia. Non ci considerano in grado di apprezzare queste opere evidentemente.
Consiglio tantissimo di procurarselo e di vederlo, è un film troppo particolare.

sabato 27 marzo 2010

Soul Kitchen

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Avevo già ammirato di questo regista "La sposa turca", film con qualche connotato divertente ma fondamentalmente drammatico. Stavolta si cimenta con la commedia brillante, tutta musica e buon cibo, e ci riesce benissimo!

Soul Kitchen è il nome del ristorante, in zona un po' degradata di Amburgo, proprietà di Zino di origini greche, postaccio di fritture. A una cena in un ristorante lussuosimmo, ospite della famiglia della fidanzata, incontra Shayn, cuoco raffinato dal carattere burrascoso che viene licenziato e lo porta a lavorare con lui. Al Soul perderà tutti i clienti abituali, ma arriverano, grazie alla musica, tantissimi giovani, sarà successo, solo che ...

Tante le situazioni esilaranti, alcune grottesche altre macchiettistiche, tanta anche l'ottima musica: ci si diverte!
Si sorride, a volte ride di gusto, e fa venire tanto appetito. Peccato per la birra, vino non se ne vede o quasi, è comprensibile in crucconia.

Nient'altro da dire. Visione consigliata.

venerdì 26 marzo 2010

Un prophète - Il Profeta

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Malik, origini arabe, orfano, in Francia e del francese analfabeta, finisce in carcere, 6 anni di condanna, appena maggiorenne. Troverà detenuti divisi in fazioni, e stranamente diventerà il protetto, ma anche servo, di un capo dei Corsi antagonista degli Arabi. Non una scelta di campo, solo la conseguenza di scelte di altri alle quali non può sottrarsi. Gli verrà chiesto di uccidere un arabo, e lo farà, per non morire lui.

Pur continuando a servire il capo dei Corsi, quando grazie a quest'ultimo comincerà ad ottenere permessi organizzerà fuori dal carcere un traffico di droga. Dentro e fuori, lentamente diventerà un leader, oniricamente supportato proprio dall'arabo ucciso e da strane visioni che gli porteranno l'appellativo del titolo.

Atipica storia di formazione che però vede il suo successo nel diventare un capo criminale. Abilità machiavellica nel saper trattare con tutte le fazioni, rendere sempre utile il suo apporto, umiltà di facciata a coprire disegni complessi nelle trattative e confidenze, freddezza e determinazione nel compiere un massacro necessario ai suoi scopi. Un ragazzo allo sbando troverà nel carcere grande ispirazione per il suo futuro, con l'effetto diametralmente contrario a quello che la detenzione si prefigge.

Tenacia ed intelligenza anche nello studiare, nell'ambiente "giusto", dove se non uccidi sei ucciso, producono questo? E' decisamente plausibile. A parte i momenti nei quali la fantasia visionaria permette scene (molto belle) dove Audiard sfoggia qualità notevoli, tutte le riprese sono ravvicinate, ansiotiche, alla ricerca del realismo duro.
La prima ora del film, propedeutica, è però piuttosto lenta, si poteva fare meglio ma penso sia una scelta voluta. Poi, quando Malik prende definitivamente coscienza del suo potenziale, gradualmente il film diventa dirompente, forte ed emozionante.

Ottimo! Decisamente da non perdere.

giovedì 25 marzo 2010

Female Prisoner #701: Scorpion

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Cult del cosiddetto genere exploitation, l'ho trovato proprio cercando info sul termine e l'ho guardato per pura curiosità. Dico questo non per sminuirlo, affatto!, ma per far entrare subito nell'ordine d'idee corretto con cui un film del genere va interpretato.

E' il primo della serie "Female prisoner Scorpion", e come il titolo ben indica parliamo di una donna, prigioniera in un carcere. La storia è semplicissima e pulp-itante. La giovane Nami Matsushima (per chi apprezza la bellezza orientale, l'attrice Meiko Kaji è da doppio sturbo!) è finita vittima di un tranello ordito dal poliziotto che è stato anche il suo primo amante. Incarcerata in un posto durissimo cova vendetta, ma nel frattempo deve subire angherie dai carcerieri che sono tutti uomini, da un gruppo di carcerate tipo "kapo", da qualcuna che la vuole eliminare. Finale furioso.

La storia è tratta da un manga e tutto fa pensare proprio ad un fumetto. E' tutto un eccesso, nel senso che le recitazioni, i trucchi, persino le posture che assumono i personaggi nelle varie situazioni, le frasi iperboliche, ogni frame è come disegnato ma ad interpretare sono attori in carne ed ossa. Passato lo sconcerto iniziale diventa tutto molto divertente!

Sui contenuti è difficile dare una valutazione. Siamo nell'amusement puro, finzione esplicita, rappresentazione fine a sé stessa, solo estremamente originale, almeno per me. Curioso solo che nei primi anni '70 si rappresentasse un'eroina donna di questo genere, nel senso che, per quanto ne so, in occidente abbiamo dovuto aspettare 20anni circa per vedere prima Nikita e poi Kill Bill (a propo' di quest'ultimo, non ci son dubbi che su questo ed altri film sia stato attuato quello che chiamo copia-e-tarantina, persino nelle musiche ed in alcuni effetti sonori).

Dubito che ne guarderò altri. Un secondo film del genere m'annoierebbe a morte.
Ma uno almeno val davvero la pena guardarlo!

mercoledì 24 marzo 2010

Elephant

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Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale, recitano i titoli di coda mentre suona Per Elisa. In realtà, questo film girato interamente in un liceo di Portland, è più che ispirato dai tragici fatti di Columbine del 1999. Gli attori-ragazzi non professionisti recitano tutti col proprio nome di nascita.

Una mezza giornata ripresa da più angolazioni. Ogni angolo è uno dei ragazzi, o un gruppetto di loro, come l'ha vissuta. La trama ha solo piccoli flashback per illustrare qualche retroscena, come l'approvvigionamento delle armi, poi si svolge tutta in tempo presente con piani sequenza e riprese a steadicam che insegue i personaggi, la loro giornata tipo. Si passa da un personaggio all'altro con dei rewind temporali, si rivedono cose già viste quando il personaggio incrocia precedenti già illustrati. Metodo molto originale.

Una scena davvero notevole per tecnica me la sono rivista tre volte: camera fissa sul campo da football, i ragazzi che entrano ed escono dal campo visivo mentre giocano, nessuna zoomata ma solo continui cambi di fuoco dal panoramico fino al ritratto del ragazzo che poi verrà pedinato per un lungo percorso fino all'interno della scuola. Splendida.
La tecnica mi affascina quando il risultato che ottiene è fornire una particolare sensazione, in questo caso quella di essere presente sul set. Sembra di essere lì con più teste, la magia del Cinema ti fa vivere molteplici esperienze su un solo breve periodo di tempo. Nel finale i rewind cessano, è solo follia e terrore sgomento.

Considerazioni sui fatti narrati sono fin troppo ovvie. Dico solo che negli u.s.a., nonostante tutto e qualche timida legge successiva ai fatti del '99, procurarsi armi anche da guerra è ancora cosa relativamente semplice e alla portata di chiunque. E c'è poco da aggiungere.

Palma d'Oro per miglior film e regia a Cannes. Non male per un film prodotto a basso costo per un canale televisivo.
Per me è Imperdibile.

martedì 23 marzo 2010

Goya's Ghosts - L'ultimo inquisitore

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Già nei titoli di testa vengono illustrati una serie di disegni che mostrano un mondo brutale, dove la religione è compartecipe di quanto accade. Subito si comprende l'autore di quei bellissimi disegni: Francisco Goya, pittore dei reali di Spagna.

Siamo nel 1792, 3 anni prima c'è stata la rivoluzione francese.
I manifesti di Goya che vengono stampati e distribuiti sono oggetto di discussione del santo uffizio. Indipendentemente dalla Francia, da tempo l'inquisizione ha "rallentato" l'opera persecutoria, ma anche e con pretesto dei manifesti, l'intento di tornare ad inasprire i controlli, perorato da padre Lorenzo Casamares viene accolto. Ritorna il terrore...

Per futili motivi viene processata, e quindi torturata ed imprigionata, Inés Bilbatua, giovane figlia di un ricco commerciante il quale non riuscirà a liberarla ma si vendicherà con Lorenzo esponendolo ad un tale ridicolo da costringerlo a fuggire. Tornerà Lorenzo, 15 anni dopo, riciclatosi coi rivoluzionari francesi che nel frattempo decidono di esportare gli ideali della rivoluzione.... eccetera eccetera. Una storia lunghissima ricca di avvenimenti e colpi di scena, orrori di miseria, fede e guerra, racchiusi in 110' di avvincente visione.

Un gran film insomma, con anche una ricostruzione di ambienti e costumi di notevolissima fattura, con una consistente profusione di mezzi e comparse degna d'un kolossal.
Come il titolo originale "Goya's Ghosts" ci ricorda, è proprio il grande pittore spagnolo lo spettatore privilegiato di tutte le vicende. Sempre coinvolto in qualche modo, la protezione di cui godeva gli permise di ritrarre tutto con una buona dose di realismo ed obiettività, pur non superando mai i limiti che avrebbero potuto portare ad uno scontro tra chiesa e regnanti. Questa sua "neutralità" gli starà stretta.
Il personaggio invece più controverso è proprio Lorenzo, interpretato alla grande da uno dei più grandi attori, a mio parere, del momento: Javier Bardem. Cinico opportunista ed arrivista, in realtà figlio dei tempi che troverà sull'ultima scelta da compiere un singulto di dignità. Cambierà ruolo e posizione ma mai intima sostanza.

Film per tutti anche se qualche cattolico irragionevole potrebbe trovarvi motivi di disturbo. Forse anche per questo non ha avuto, in Italia, il successo di botteghino che poteva attendersi.
Merita decisamente la visione.

lunedì 22 marzo 2010

Dante's Inferno (ed 2006, musicata dai Tangerine Dream)

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Primo vero lungometraggio italiano di sempre. Una produzione artigianale ma importante durata 3 anni a partire dal 1907, coinvolte più di 150 persone. Prima visione al Teatro Mercadante a Napoli il 10 Marzo 1911. Il film arrivò poi negli Stati Uniti, versione che è stata poi restaurata, con le didascalie in inglese, nel 2004. Nel 2006 grazie al lavoro del British Film Institute esce con le musiche appositamente composte, grandiose!, dei Tangerine Dream.

Non è certo semplice per un profano come me giudicare un film del genere. E' stata la mia pura curiosità intellettuale, chiamiamola così. a farmelo guardare. Pensavo d'annoiarmi, invece ho visto 70' di grande forza espressiva, merito certamente anche delle musiche, ribadisco bellissime!, ma anche delle immagini che nonostante la camera e l'obiettivo fissi, solo qualche raro movimento, hanno un grande impatto emotivo.

I vari personaggi dell'inferno, quelli satanico-demoniaci in particolare, con quei trucchi eccessivi ma culturalmente significativi per l'epoca, è molto interessante, non solo per il Cinema. La cultura dell'epoca, il modo in cui interpretava quelle figure, emerge netta.

Di alcuni personaggi, proprio come fa Dante, ne vengono rappresentate anche le storie che li hanno portati in quella condizione. Paolo e Francesca in modo abbastanza scontato, ma le storie di Pietro della Vigna e di Ugolino della Gherardesca sono rappresentate con eccezionale drammaticità!

Straordinario ed importante pezzo di Storia del Cinema.

Big Bang Love, Juvenile A

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Il titolo originale è ancora più misticheggiante: 46-okunen no koi. Significa "4,6 miliardi di anni d’amore".

La trama viene introdotta dalla lettura di un testo che spiega come, se distanti anni luce dalla terra, sia possibile vedere la stessa e quanto vi è accaduto migliaia di anni prima.
Un incipit che pare a sé stante, seguito da un anziano che parla ad un adolescente su cosa occorre per definirsi uomo. E quindi? Com'è logico attendersi, un ballerino tatuatissimo inscena una (fantastica!) danza forsennata con chiari richiami alle arti marziali. Tutto avviene come in un sogno.

A capitoli successivi introdotti da una voce fuori campo assistiamo all'apparente omicidio per strangolamento perpetuato in carcere da Jun nei confronti di Shiro. Totalmente immotivato, seguiremo le indagini che porteranno a risultati sorprendenti e inattesi.

Jun è un ragazzo gay dai connotati estremamente femminili, finito in carcere perché ha ucciso un uomo che lo voleva violentare. Non si è limitato a difendersi, lo ha fatto a pezzi. Shiro invece è cresciuto in ambiente degradatissimo ed è, a dispetto di un corpo minuto, forte e violento, invincibile nella lotta. Shiro prende in carcere sempre le difese di Jun, ecco perché è incomprensibile il motivo dell'omicidio e perché l'indagine non si ferma ad una insensata confessione...

Film incredibilmente visionario, con fotografia ed inquadrature particolarissime. Il set è come un teatro a più palchi e la storia, che si svolge in un periodo di tempo linearmente molto ridotto, viene mostrata a cerchi concentrici, dal finale fino al nocciolo centrale, quando tutto diverrà chiarissimo. Una curiosa ambientazione fantasy rappresenta i dialoghi tra i due protagonisti, in assenza di tempo con 2 elementi di distorsione: una piramide ed un missile interplanetario. Il legame che li unisce non è sessuale, è semplicemente una Essenza di umanità fra 2 persone diversissime accomunate da un'Assenza di speranza se non quella di navigare nel tempo. Ma le interpretazioni di un film così originale, in ogni suo aspetto, sono molteplici.

Opera decisamente indescrivibile e meravigliosa! Da vedere assolutamente ed incantarsi.

p.s.: inedita in Italia, l'ho vista nella lingua per me più semplice tra le disponibili: in spagnolo. Pur non comprendendo ogni termine, l'ho goduta alla grande ugualmente. Un fatto nuovo per me.

domenica 21 marzo 2010

La doppia ora

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Guido, una guardia giurata, conosce Sonia, cameriera in un albergo, a Torino dove vivono in una di quelle serate per incontri fra single in cerca d'anima gemella. Nasce un amore, tra 2 persone con passato da dimenticare, per motivi però diversissimi.

Guido invita Sonia nella villa che deve curare. Toglie l'allarme per portarla a visitare il parco, e proprio in quel momento una numerosa banda di rapinatori incappucciati li aggredisce. Durante una colluttazione parte un colpo.

La trama a questo punto prende una doppia piega. Guido è morto eppure ricompare. Sonia ferita ma confusa, al lavoro combina guai poi ha degli incubi. L'amico poliziotto la sospetta di complicità coi rapinatori. Era innamorata davvero di Guido o cosa? ...

Sarebbe troppo un peccato rivelare la trama che costituisce il vero pezzo forte del film.
Opera prima di un regista prima specializzato in videoclip, ha una discreta dinamicità. Capotondi in più di una occasione mostra di saperci fare con la telecamera. Non male anche la prova dei 2 protagonisti principali.

Ma è proprio la trama ed il modo in cui viene illustrata quello che rende questo giallo-thriller davvero interessante. Una di quelle storie che mano a mano che si avvicina il finale ti fanno venir voglia di tornare indietro per vedere quel dettaglio che poteva esserti sfuggito e che già rivelava parte del mistero.

Decisamente una buona prova per il Cinema italiano, fa ben sperare.

London to Brighton

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Due donne. Joanne è una ragazzina minorenne giovanissima in panico, viene chiusa nel bagno di un bar da Kelly, una più grande, con un viso pesto, che se ne prende cura. Kelly esce a fare una marchetta per procurarsi i soldi per il treno. Torna con qualcosa da mangiare, e comincia la fuga. Prima tappa Brighton, da un'amica di Kelly.

Intanto il protettore senza scrupoli di Kelly viene convocato da un boss giovane e spietato che gl'impone di trovare le 2 fuggitive. Lo fa con argomenti convincenti. Inizia la caccia. Il finale sorprenderà.

Ritratto di backgrounds londinesi spietati. Ambiente della prostituzione cinico e violento. Assenza di pietà, sentimento che avrà brevi accenni.

Film pluripremiato in festival cosidetti minori e spesso "maggiori" di altri, nei quali opere prime ed indipendenti come questa riescono a trovare un meritato spazio. In Italia non è uscito, non è una novità.

IL FILM E' DAVVERO ECCEZIONALE !
Velocissimo, girato quasi tutto a spalla con alcuni piani sequenza di altissimo livello, quando rallenta carica la molla. Considerati i pochi mezzi, la qualità della fotografia stupisce.
Tensione, terrore e disperazione, con la dolcissima fanciullezza di Joanne che tiene legato questo ambiente degradato ad un'umanità che sembra aver dimenticato. Lei e Kelly due bicchieri di plastica vuoti gettati in un vento di tempesta, condannate a correre. Poche le scene "dure" riprese direttamente, poco sangue e non per questo non inorridisce, anzi. Il più si deve immaginare, capire, dietro una porta socchiusa, da urla che arrivano lontane e stringono il cuore, dalle storie dei personaggi e da quello che gli accade... grande!

Giovane regista questo Paul Andrew Williams che va seguito con attenzione, ha già un suo stile definito, in una nicchia non facile. Ammicca a Meadows il quale, sono sicuro, apprezza.

Assolutamente da vedere.

sabato 20 marzo 2010

Eastern Promises - La promessa dell'assassino

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Un omicidio da un barbiere a Londra, nel più classico clichè da mafia italiana, ma qui si parla di quella russa. E s'introduce il soggetto.
Una ragazza giovanissima partorisce in pessime condizioni, muore ma vive la figlia. La dottoressa (origini russe, guarda la coincidenza) scopre un diario
della ragazza e cerca i suoi parenti. Troverà effettivamente una famiglia, ma non nel senso affettivo del termine. Quel diario sarà fonte di non pochi problemi...

Ho letto mirabilie di questo film. Mha... io, ad essere sincero, mi aspettavo qualcosa di più da Cronenberg, e voglio essere tenero. Manca tutta la verve, la tensione potente, l'angoscia, quel po' di horror. Si salvano giusto un paio di scene. Trama un po' scontata, e sono tenero anche qua.

Ottimo Vigo Mortensen, splendidissima al solito Naomi Watts, Cassel poteva essere risparmiato dal budget.

Cronenberg da botteghino, si può decisamente non vedere.

venerdì 19 marzo 2010

The Draughtsman's Contract - I misteri del giardino di Compton House

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Compton House è una elegantissima residenza inglese, siamo a fine '700. Mr Neville, un disegnatore, viene assoldato da Mrs Herbert per produrre una serie di tavole che ritraggano varie viste della casa e del grande giardino che la circonda. Il contratto prevede, oltre al compenso monetario, vitto, alloggio e prestazioni di sollazzo sessuale fornite dalla stessa signora Herbert. Contratto non troppo capestro visto che la figlia della signora, Mrs Tallman sposata con un impotente "manichino" tedesco, ne esigerà più avanti nella storia uno uguale da Neville the stallion.

Durante l'opera di disegno Neville vuole che l'area ritratta sia deserta da uomini ed anche animali ove possibile. E' un ritrattista precisissimo, quello che vede, come una fotografia, ritrae pari-pari. Inconsapevolmente ma guidato da menti machiavelliche, ritrarrà cose compromettenti e le sue opere assurgeranno a prove. Dopo il ritrovamento del cadavere di Mr Herbert, scomparso da giorni e palesemente assassinato, il gioco si farà più serio e pericoloso...

Film in costume curatissimo e non comune per l'atmosfera. Solo in Barry Lindon ho respirato "aria" paragonabile.

Sempre questi film ci propongono annoiati nobili che si sollazzano anche con discorsi raffinati quanto inutili, si divertono a battibeccare punzecchianti, soprattutto quelli ambientati in terra d'albione come questo. Questo è un aspetto che me li rende mediamente ostiosi da guardare. Qua però il livello dei dialoghi è, in alcuni momenti, altissimo e quasi mai banale. Cose dette per intrigo, certo, ma... ne ho trascritto un brano: Mrs Tallman è al primo approccio con Mr Neville (è il momento in cui si comincia a capire che ci sono manovre oscure) e gli si rivolge così:
"Mr Neville, io credo che un uomo davvero intelligente può essere soltanto un mediocre pittore. Perché dipingere richiede una certa cecità, un parziale rifiuto di accettare tutte le possibilità. Se è intelligente l'uomo ne sa di più su quello che disegna di quello che vede e nello spazio fra il conoscere e il vedere costui diventa condizionato, incapace di seguire un'idea con forza, temendo che chi capisce, coloro ai quali gli vuole piacere, lo troveranno in difetto se non ci mette non solo quello che lui sa, ma quello che sanno anche loro...".
Be', è un pezzo che trovo di grande spessore.

Come dicevo, i dialoghi sono importanti e la trama intrigante, una specie di giallo-noir. Poi c'è il solito, ineguagliabile in Occidente e paragonabile solo ad alcuni in Oriente, gusto estetico di Greenaway, una cosa che non si può descrivere ché la bellezza non si descrive. A completare l'insieme di perfezione estetica una delle colonne sonore di Michael Nyman più riuscite tra le sue collaborazioni con Greenaway, una musica che propone una sorta di moderna versione della musica barocca: bellissima.

Non ho del tutto compreso il senso di un curioso personaggio, a metà tra lo spiritello ed il folletto, un uomo dal corpo pitturato che si mimetizzava nel giardino, quasi sempre nudo, che sembra dover da un momento all'altro piazzare a qualcuno uno scherzo od un dispetto. Mha, più che dare un tono grottesco-fiabesco alla vicenda, non ci ho capito molto, se non che mi faceva sorridere per la sua simpatia, come un clown.

Film particolarissimo e bellissimo.

High Tension - Alta tensione

7
Aléx invita l'amica Marie nella casa in campagna, molto isolata, dove vive la sua famiglia, per aiutarla a studiare. Nel frattempo nei paraggi s'aggira una specie di orco con un furgone, che dopo aver costretto una donna ad una fellatio la decapita e getta la testa dal finestrino.

Un discreto inizio, promette bene già dal mattino.
Le 2 ragazze arrivano alla casa che è già buio. Presentazioni e convenevoli, poi a nanna, ma Marie si attarda sveglia. Si presenta l'orco alla porta, suona, il padre apre e non-sono-convenevoli... Marie riesce ad occultare la sua presenza e farà di tutto per salvare Aléx, stranamente lasciata in vita dall'orco che avverte la presenza di Marie ma non riesce a coglierla.
Il finale, spiazzante, mostrerà su altre telecamere la verità sull'orco...

La locandina è un tantinello sborona, ma il film tutto sommato non è male considerato che trattasi d'opera d'esordio d'un giovanissimo (ai tempi) regista, che è anche co-sceneggiatore con un co-etaneo. Ha goduto anche di qualche consiglio del produttore, "tale" Luc Besson. Aja a differenza dell'omonimo tribunale non giudica, si limita a rappresentare.
Splatterosissimo Pulpissimo? Sicuramente e per eccesso, ma non gore: gli effetti nonostante la poca pecunia sono ben curati e realistici.

Nessuna riflessione particolare, solo godimento per gli occhi e cardiotensione come titolo promette. Svago.

Me lo sono gustato per relax, con salsicce, patate fritte e spinaci novelli in insalata conditi solo con olio e sale (aceten ist verboten, poi non si può bere niente!). Vino, come sempre, rigorosamente fermo, rosso e a temperatura ambiente, in sanguigna guisa.
Buon appetito.

giovedì 18 marzo 2010

The Wild Bunch - Il mucchio selvaggio

12
Recensire un film così mi riesce sempre difficile. Cosa dire se non che è un Capolavoro, che considerato l'anno d'uscita è d'una violenza "vera" che stupisce per il genere.

Per violenza vera non intendo solo sparatorie e sangue, che certo non difettano a questo film. E' quella condizione esistenziale diffusa nell'ambiente e nei personaggi che lo popolano, animali compresi. La scena iniziale è folgorante, amore al primo frame: i gringos travestiti da soldati che si recano in paese passano affianco ad un gruppo di bambini che giocano con degli scorpioni dati in pasto alle formiche, il ritratto del mondo di allora (inizio '900), la legge del più forte. La rapina che ne segue, con una sparatoria in mezzo ad una processione, è Grande Storia del Cinema, ci vorrebbe Pasolini per descriverla...

Dopo un inizio talmente bello ti chiedi le restanti 2 ore cosa potranno mai proporre!
La rapina d'inizio era una trappola delle Ferrovie per catturarli. Rincorreranno il mucchio, gli scagnozzi assoldati, fino alla fine del film. Nel frattempo la banda s'è trasferita in Messico ed è stata assoldata da un generale, che combatte la rivoluzione guidata da Pancho Villa, per rapinare un treno carico d'armi per l'esercito americano. C'è un problema "morale": uno del mucchio è messicano, originario di un paese perseguitato dal generale, ed esige come compenso una cassa delle armi, cosa che viene accettata di buon grado. Alla consegna (dopo una spettacolare rapina e fuga) però, il generale verrà a sapere la cosa, ed il loro compagno non farà una bella fine...
Finale incredibile! Spettacolo! Altro pezzo di Grande Storia.
Ralenty perfetto con qualche raro momento a velocità normale, è il momento epico dei gringos che, freddi fino ad allora, uniti e senza nemmeno dover comunicare per capirsi, partono decisi al riscatto del loro amico ma soprattutto di loro stessi, un boato di dignità ed onore. Certo, come descrizione non è un granché, chissà quanti western hanno storie del genere. Ma questa bisogna vederla ed allora di western paragonabili ne rimangono ben pochi.

Considerato uno dei 10 western più belli di sempre, è il primo film del genere che compare nel mio blog.
Ora ovviamente sono curioso di conoscere gli altri 9.

mercoledì 17 marzo 2010

Antarctic Journal

0
Scopo di un gruppo di esploratori coreani raggiungere a piedi il "Pole of inaccessibility" in Antartide. Devono arrivare prima del sopraggiungere della notte polare.
Il gruppo parte bene e con piena fiducia nel capitano (interpretato dal sempre bravissimo Song Kang-ho). Quando comincia qualche difficoltà trovano un diario scritto da una spedizione inglese di 80 anni prima. Nascono dubbi, malumori, cominciano ad avere inquietanti visioni e soprattutto cominciano, uno ad uno, a morire. Capita di tutto. Se il congelamento di un piede è spiegabile (in quelle zone si raggiungono anche i -80°) molto meno lo sono le improvvise voragini che si aprono nel pack, gli occhi senza testa intorno che galleggiano sotto il pack, strane ombre e creature. La spedizione inglese, della quale dal diario non si capisce che fine abbia fatto e con quali risultati, sembra ripetersi nel gruppo coreano...

La follia del capitano, che ha origini nella sua vita passata che vive in ogni istante come in una dimensione parallela, nel frattempo ormai arrivato al culmine del delirio, porterà al limite la situazione. Se sono riusciti a raggiungere il P.O.I. ve lo lascio scoprire.

Gustatevelo pure in coreano sottotitolato dalle anime pie di volontari. In Italia non è uscito. Pur senza essere superlativo, è un discreto film. Non girato in Antartide ovviamente, ma in Islanda e con un budget significativo.
La prima parte si compiace un po' troppo delle splendide immagini e della fotografia, poteva essere più breve ed intensa. La seconda, quando il diario comincia a produrre i suoi effetti destabilizzanti migliora e comincia ad intrigare. La terza ed ultima invece è notevole ed appaga per tutto il resto.

Fin troppo facili le analogie fra il P.O.I. e i "p.o.i." della vita, basta far lavorare un minimo la quota "orientale" del proprio cervello.
Mi ha colpito invece moltissimo, nel senso che quel momento ha trovato un bersaglio facile nella mia testina, la considerazione che in fondo, anche quello, non è nient'altro che un punto come tanti del pianeta. A che scopo darsi tanto da fare per raggiungerlo, cosa mai si potrà comprendere, che valore aggiunto porta alla vita? Domanda irrisolvibile, una di quelle che qualcuno definirebbe Circolari: domande a cui si risponde con domande, quindi mai una risposta, un cerchio senza fine.
Stop, mi fermo qua, magari ne parlo in Fanfare, se mi ricordo, di qualche riflessione ispiratami da questo e da altri film che visto.

martedì 16 marzo 2010

Benny's Video

9
Dopo aver visto lo splendido esordio di Haneke con "Il settimo continente", primo della Trilogia della Glaciazione, non potevo non riprovare a vedere questo, il secondo della trilogia. Alla prima visione mi aveva talmente rotto nella parte iniziale che l'avevo interrotto.

Stavolta ho retto fino alla fine, anzi arrivato al punto d'interruzione ho cominciato a vederci chiaro, e m'è piaciuto, molto!

Benny è un adolescente di città con la mania dei video, sia di guardarli che di produrli. Ha apparecchiature in abbondanza. La "fissa" è per le riprese di situazioni di morte. Un video che ha fatto nella fattoria di proprietà dove vanno ogni tanto, che riprende l'uccisione di un maiale per la macellazione, è il prodotto che più ama e di cui è più fiero.

Fuori da una videoteca, in un week-end che è solo in casa, incontra una ragazza con cui fa amicizia. La invita a casa sua, le mostra le sue meraviglie tecnologiche, poi tira fuori una pistola da mattatoio e sfida la ragazza a sparargli. Lei non lo farà, ma quando sfiderà lui non riceverà la stessa cortesia. Un omicidio assurdo e senza senso, perpetrato con infantile efferatezza. Una camera fissa sul monitor di Benny che riproduce la sua videocamere, fissa anch'essa. Una sequenza che bisogna vedere per comprenderne la Glacialità.
Non un pianto, né un pentimento. Un ragazzo stranito e straniato che termina il week-end in discoteca. Quando i genitori scopriranno l'accaduto, passato lo sgomento, studieranno come coprire tutto. Benny partirà per un viaggio con la madre mentre il padre (il bravissimo e compianto Ulrich Mühe) farà pulizia...

Non c'è un perché. Questo il tormento che rimane anche ai protagonisti.

Quello che c'è, un tormentone che percorre tutta la storia, è la continua riproduzione di giornali e cinegiornali che riportano fatti di cronaca e di politica del momento. Non ho potuto evitare di tracciare un nesso tra quel profluvio di violenza presente nei notiziari e quella circoscritta in casa di Benny. "Dove sta la differenza?" ci si potrebbe chiedere. E' come se Haneke avesse portato, con proverbiale asciuttezza (riprese non definite, colori scarni, musiche assenti, piani sequenza a profusione) la violenza mondiale in una dimensione casalinga.

Diventato famoso con Funny Games, in realtà questi suoi primi 2 film per violenza e crudeltà gratuita, o sarebbe meglio dire inspiegabile, a mio parere lo superano di gran lunga.
Visione obbligatoria per gli Hanekeiani.

lunedì 15 marzo 2010

La cérémonie - Il buio nella mente

11
Sophie (Sandrine Bonnaire) è una donna a servizio in una famiglia benestante, nella provincia francese. Ha un carattere introverso e riservato. In perenne cipiglio ostenta calma e vive in modo un po' meccanico. E' dislessica e mantenere questo segreto è una sua ossessione. Alle spalle la morte del padre un po' sospetta.

Jeanne (Isabelle Huppert) è impiegata nel piccolo ufficio postale. Trasferita lì dopo una vicenda tragica familiare: ha causato la morte del figlio di 4 anni in modo apparentemente accidentale. E' estroversa in modo nevrotico, ostenta giovialità ma è rosa d'invidia per la famiglia ospite di Sophie, ne spia la corrispondenza, ficca il naso nella loro vita appena le è possibile farlo. Le 2 "proletarie" un po' sinistre legheranno molto. Un'amicizia non apprezzata dai padroni di Sophie che le procurerà il licenziamento. Il commiato non sarà molto amichevole...

Sono davvero contento d'aver visto un grande film di Chabrol! Motivi personali...
Meno disturbante ma diretto ed asciutto come un Haneke, la Soluzione finale arriva non come un fulmine nonostante la brutalità. Per quanto assurda sembra una diretta conseguenza di qualcosa che cresce lentamente lungo tutto il film, senza picchi, con costanza, ed è in questo senso di misura che si apprezza la sapiente regia.

Ottima Sandrine Bonnaire. Per Isabelle Huppert invece ho terminato gli aggettivi, è un'attrice che mi fa letteralmente sbavare.
Il migliore tra quelli che ho visto di Chabrol.

Martyrs

5
Per arrivare i francesi, dopo 20 anni che non accadeva, a vietare un horror ai minori ce ne deve essere di "polpa"! Il divieto poi è stato ridimensionato: v.m. 16.

Confermo, di polpa, carne viva e palpitante ancora appiccicata alle ossa e dotata di pur minime capacità senzienti e di movimento ce n'è, ma non è poi nulla di così terribile.

Quello che invece sorprende anche se non dovrebbe è la ricchezza di trama in un film di questo genere. Recentemente ne ho visti di horror francesi davvero eccellenti: "A l'interieur" e "13 Tzamenti", altri me ne mancano. Coniugano magnificamente terrore e spessore.

Lucie è rimasta imprigionata in una fabbrica dismessa quand'era ancora ragazzina. Lì dentro ne ha subite di ogni, senza alcun motivo apparente.
Miracolosamente sfuggita, trascorre l'adolescenza in un istituto per disabili psichici e stringe amicizia con Anna. Passano 15 anni e vede su un giornale una foto che ritrae la coppia, uomo e donna, che l'hanno torturata. Si reca a casa loro con una doppietta da caccia e compie un massacro spietato, una vera e propria esecuzione che non è solo vendetta, ma anche atto liberatorio da un "fantasma" (senso di colpa) che la opprime da sempre e le procura mostruose ferite autolesioniste.
Purtroppo per Lucie, quanto fatto non basterà a liberarla e porterà ad estreme conseguenze. Anna, giunta sul luogo, per quanto innamorata dell'amica, comincia a dubitare che possa essersi sbagliata. Dopo la morte di Lucie, però, scoprirà in quella casa un passaggio segreto ed i suoi spaventosi segreti. Capirà sulla sua pelle, anzi Con la sua pelle, che Lucie non mentiva ed aveva visto giusto...

Torture. Oltre 30' di finale. Non fini a sé stesse, hanno uno scopo: avere una persona viva che possa raccontare della morte. Per fare questo occorre portarla in bilico e sperare che faccia in tempo ancora a parlare.

Film molto bello nel suo genere, non per tutti.
Trucchi di grande pregio, regia dinamica e tensione fortissima sempre.
Ne vedremo, spero, ancora delle belle dalla Francia.

domenica 14 marzo 2010

Somers Town

12
Se si ama questo regista non si può non apprezzare questa sua ultima opera, che come altre non ha visto luce nei cinema italiani. Una piccola perla, forse "minore" solo per la durata (67') ma in tutto e per tutto Meadows.

Due ragazzi, uno inglese (il bravo Thomas Turgoose già ammirato in "This is England") e l'altro polacco si incontrano casualmente a Londra. Entrambi provengono da situazioni di disagio sociale: l'inglese dalle (sempre presenti nei film di Meadows) Midlands, Nottingham, dove ha lasciato una non-famiglia e delle non-amicizie con un biglietto di sola andata; il polacco vive, con qualche stento, col solo padre che lavora come manovale.

Si innamoreranno entrambi di una bella ragazza francese più grande di loro, che lavora in un bar dove vanno ogni tanto, e quando lei dovrà tornare a Parigi coltiveranno il sogno di riuscire ad andarla a trovare...

Piccolo affresco in bianco e nero delle persone che la società ignora spesso che esistano.
Con un dolcissimo finale a colori 16mm.
Belle anche le canzoni, tradotte nei sottotitoli.

San Michele aveva un gallo

0
Ritratto in trittico dell'internazionalista anarchico Giulio Manieri: quando era a capo di un gruppo di insurrezionalisti intorno al 1870; durante i primi 10 anni di prigionia trascorsi in totale isolamento; il viaggio di trasferimento in una prigione per detenuti politici nella laguna veneta.

La prima parte è curiosamente dolce e pacata. Un "assalto" ad un paese per liberarlo dai gioghi dell'autorità e dei proprietari può far pensare a lotte furibonde. Invece la banda entra in paese, seppur armata, con il fondamentale intento di propagare la loro ideologia, ci saranno sì dei morti, ma quasi fatalmente.
La terza, forte e poetica, è tutta in barca sulla laguna, con delle bellissime immagini tra l'altro. Giulio incontra un gruppo di giovani condannati, loro però marxisti. Pur in quella condizione, e dopo 10 anni d'isolamento, la sua smania di scambiare pareri ideologici è irrefrenabile. Sarà un incontro-scontro che lo ferirà, lui fermo sul suo ideale di socialismo assoluto, ideale da incarnare in ogni uomo, ed i giovani più "realisti", che puntano ad un sovvertimento dell'ordine costituito. Tutto da studiare...

Ma dove il film, che m'è piaciuto tantissimo, tocca il vertice è durante la prigionia. 10 anni senza mai uscire dalla cella, senza ora d'aria, senza libri né carta, senza visite, senza mai una variazione nemmeno nello scarno mangiare. Il silenzio assoluto è interrotto dal suo continuo pensare ad alta voce nel quale rivive i momenti significativi della sua vita e delle sue scelte, come le riunioni coi compagni, o i semplici momenti di vita quotidiana. E' un pezzo epico, l'ideale che tiene vivo l'uomo è molto difficile da rappresentare ed i Taviani ci sono riusciti magistralmente.

Prossimamente vedrò Allonsanfan, altra storia ma strettamente imparentata.

Decisamente da vedere.

El secreto de sus ojos - Il segreto dei suoi occhi

9
Filmone! Storia ampia per periodo narrato, personaggi, vicende sia sociali che e soprattutto particolari. Un grande Oscar, non si discute, che per il film straniero ha visto in concorso anche "Il canto di Paloma", altro bellissimo film, altra regia superlativa. Argentina e Perù, molta America Latina la cui produzione filmica è tutta da esplorare.

Il romanzo da cui è tratto, scritto da Eduardo Sacheri, s'intitola "La pregunta de sus ojos". Pregunta è richiesta, domanda, quesito. Dopo aver visto il film posso dire che entrambi i titoli sono perfetti.

Sinossi lunghissima, cerco di sintetizzare...
Benjamín Esposito, protagonista principale, decide in pensione di scrivere un romanzo-memoriale su un caso su cui ha indagato, quello dell'omicidio seguito ad uno stupro di una giovane ragazza, Liliana, da poco sposatasi, avvenuto poco prima dell'avvento della giunta militare in Argentina guidata da videla. Presto liquidato da colleghi senza scrupoli, Benjamin capisce subito che l'assassino è altra persona dai 2 fermati e con una grande intuizione arriva ad individuarlo, tale Gomez. Non ci sono prove ma con un espediente lo incastrano. Passa pochissimo tempo, videla e scagnozzi prendono possesso del paese, e Gomez viene assoldato come informatore prima ed "esecutore" di sparizioni poi, proprio al comando del collega che Benjamin aveva sbugiardato... Solo un incipit. In mezzo c'è un amore mai risolto di Benjamin per Irene, la sua magistrato di riferimento, che gli farà da revisore del romanzo; la morte di Sandoval, compagno di indagini che per quanto alcolista fu determinante per la cattura di Gomez.
Soprattutto c'è di mezzo Morales, il marito di Liliana, che non s'è mai dato pace e non ha mai dimenticato, nemmeno per un attimo, che Gomez doveva pagare il debito con la giustizia.

E' un film lunghissimo con una serie di eventi nella seconda parte di ripetuto sconvolgimento. Con un continuo passaggio tra flashback e tempo reale la trama arriva a compiersi in un finale, finalmente l'ultimo, durissimo.
Giustizia, amore, amicizia, fatti politici, la tragedia dei desaparecidos che sfiora il tutto: tanti temi importanti tutti trattati alla grande, senza scadimenti e con una narrazione avvincente. Stupisce.
E siccome Campanella non vuole farsi mancare niente, ha realizzato anche una scena che fa discutere per la tecnica realizzativa. Un piano sequenza che parte da un'inquadratura aerea di uno stadio di calcio con partita in pieno svolgimento e prosegue fino agli spalti e ad un inseguimento sugli stessi, una cosa davvero da ammirare più volte, come ho potuto fare grazie al bel dvd spagnolo prestato da un amico.

Non voglio nemmeno pensare allo scempio che verrà fatto dalla cdi! In Italia ancora non si prevede l'uscita ma statene certi che verrà doppiato. Io me lo sono gustato in spagnolo coi sottotitoli, gustato!

Assolutamente da non perdere.

sabato 13 marzo 2010

Dead Ringers - Inseparabili

1
Nunzio vobis gaudium magnum: Cronenberg a pieno titolo, e tra i più eccelsi in assoluto, nel mio personale Olimpo.
Sintesi di settima arte: cura delle immagini, musiche, trama, interpretazioni. Jeremy Irons da leggenda.

Due gemelli omozigoti Beverly ed Elliot, due gocce d'acqua, inseparabili fin dalla più tenera infanzia, sono anche due geni della ginecologia. Ancora studenti inventano uno strumento chirurgico, un successo tale da renderli famosi a livello mondiale. Aprono uno studio insieme, sempre insieme condividono anche gli amori, due vite su rette non parallele ma coincidenti.
Le differenze ci sono nel carattere ed aiutano a distinguerli. Elliot è più estroverso e cinico, Beverly più studioso e timido, e gli occhiali che indossa lo caratterizzano anche fisicamente.
Tutto bene fino a quando, a farsi visitare, arriverà un'attrice, Claire...

La donna affascina entrambi ma Beverly in modo fatale. Ha una curiosa (e di pura fantasia) malformazione congenita: l'utero triforcuto che paradossalmente, nella sua ipertrofica ramificazione, è in realtà causa di sterilità. La donna ricambierà l'amore a Beverly, solo che quando scoprirà anche dell'esistenza di Elliot si sentirà ingannata e lo abbandonerà. Da quel momento Beverly cadrà in una depressione fatale, comincerà ad abusare di droghe ed alcool. Elliot cercherà di restare "estraneo" alla caduta negli abissi del fratello, solo che ad un certo momento si rassegnerà alla loro condizione di Inseparabili... finale ovviamente drammatico ma di una bellezza che non voglio rovinare.

Sui gemelli omozigoti e sulle patologie che a volte ne accompagnano la vita c'è molta letteratura. Il film stesso è tratto da un romanzo: "Twins" di Bari Wood, ispirato da una storia vera, un fatto di cronaca. Su quest'argomento mi astengo dal fare riflessioni e mi limito a dire che è rappresentato magnificamente.

Mi soffermo un attimo invece sull'invenzione di Beverly quando è già nel pieno della schizofrenia: gli attrezzi chirurgici per interventi ginecologici su donna mutante. Talmente belli esteticamente da comparire nel film, senza stonare, in una galleria d'arte.
E' evidente che di utilità chirurgica non ne avessero. Perché allora li ha inventati?
Nel momento in cui Beverly s'innamora di Claire, e lo dice anche fra le righe, s'innamora del suo corpo. La deformazione, non visibile ma palpabile, lo attrae e la vuole per sé. Per la prima volta nella sua vita non accetta di condividere qualcosa col fratello. Si crea un distacco che sulle prime Elliot accetta almeno in apparenza, mentre Beverly quando perderà anche Claire resterà dimezzato. Così come l'attrezzo inventato in gioventù fu trait d'union ulteriore, Beverly è alla ricerca di una seconda invenzione clamorosa, sola speranza di ridare linfa alla professione ed al rapporto col fratello. Le pazienti "normali" non gli causano più alcun interesse, cerca le anomalie della natura al punto da immaginarsele. E' un delirio.

Questa l'analisi in prima istanza, mentre dura la visione, poi arriva il finale e se ne aggiunge un'altra, terribile e sconvolgente...

Non entro in dettagli tecnici pur interessanti, sminuirei qualcosa che è riuscito alla perfezione.
Capolavoro.

venerdì 12 marzo 2010

Little Miss Sunshine

7
Una famiglia modello allargato pittorescamente assortita: padre motivatore professionista, madre casalinga paziente di fatto un mostro di tolleranza, un figlio che ha fatto voto di non parlare fino a quando non realizzerà una certa cosa, una figlia dolcissima che ambisce a vincere un concorso di bellezza di categoria, uno  zio fratello della madre gay e massimo esperto in america di Proust, nonno paterno sesso-fissato e sniffatore d'eroina che fa da capo coreografo alla nipote.

A bordo d'un vecchio pulmino VW anni '60 stile figli-dei-fiori faranno un viaggio degno di loro, per imprevisti e bizzarrie d'ogni sorta.
Pur con qualche retrogusto drammatico, è un film divertentissimo...

E non è per niente banale. Se volessi sintetizzarlo in una definizione breve mi verrebbe da dire: anti-edonista.
Con la fissa dell'antagonismo tra vincenti e perdenti (molto americana 'sta cosa!) rappresentata dal padre-motivatore nel suo tormentone che propina continuamente alla famiglia tutta, in realtà ci viene rappresentata la gioviale, e Vincente, convivenza che si può realizzare in una famiglia composta unicamente da perdenti.

Il finale è decisamente emblematico e di lunga durata. Tra bambine che sono la versione bonsai, semplicemente in scala 1:3, di ballerine, cantanti e show-girl, la semplice Holly, con quella pancettina che straripa dal primo costumino di presentazione, appare subito come un fattore di disturbo. Dirà bene il ragazzo, che nel frattempo ha ripreso l'uso del verbo: "il mondo è tutto un concorso di bellezza", e subito cercherà di convincere la sorella a rinunciare a proseguire nel concorso, ma Holly darà una lezione a tutti.

Bello bello! Mi sono svagato e divertito, con una dose non eccessiva di cervello stimolata a dovere.
Molto belle le musiche modernamente folk di Mychael Danna.

Decisamente da vedere.

giovedì 11 marzo 2010

Kairo - Pulse

12
Due bidoni a fila non m'era mai capitato. Qui avevo puntato su un cavallo vincente per andare sul sicuro, film menzionato tra i migliori horror del primo decennio del XXI sec.

Dei giovani che lavorano in un giardino-vivaio sul tetto di un palazzo perdono i contatti con un loro collega. Andati a casa sua, lo si scopre camminare come uno zombie e subito dopo muore suicida.
Inizia una catena di morti inspiegabili. Contemporaneamente si vedono, solo tramite internet, delle presenze inquietanti aggirarsi per Tokyo, in particolare in stanze, appartamenti... Alcuni, quasi a volersi proteggere da questi "fantasmi", sigillano le porte con del nastro rosso...

Dopo la "modica cifra" di 50 min si comincia a sentire un dialogo sensato (eufemismo forzato) che fa delle ipotesi su cosa sta accadendo: il regno dei morti non ha più spazio sufficiente a contenerli (crisi mistica degli alloggi?) allora questi non hanno alternative se non di tornare tra i vivi e (non se ne capisce la ragione) procurarne la morte (e i morti aumentano a dismisura, come facciamo a fare spazio nel regno dei morti?).

Pretendere che i morti abbiano pur minime cognizioni di economia sociale e di urbanistica è troppo effettivamente. Come i cablaggi di internet possano c'entrare con un loro riapprodo nel regno dei vivi è un vero rebus. E se internet non c'era che facevano, si scannavano nell'Ade?
Storia che non sta in piedi nemmeno nella fantasia, recitazioni (eufemismo forzatissimo) pupazzesche, si salvano le immagini di una Tokyo deserta e fumante dal sapore post-atomico. Si salva anche un certo modo di riprendere, mi sono piaciuti diversi piani sequenza, alcuni sugli esterni dei palazzi in particolare. Indubbiamente Kurosawa ha talento con l'attrezzo principe del cinema.

Pare che il remake del 2006 sia ancora peggio di questo. Non oso immaginare.
Prometto e giuro solennemente che il prossimo film recensito sarà un bel film!

mercoledì 10 marzo 2010

Crazy Heart

2
Cominciamo dalle note dolenti: 'sto film è una pizza pazzesca! Per fare un paragone gastronomico, direi che è ai 4 formaggiacci ammerica' con patatine, ketchup, maionese, cipolle, tonno e fagioli. Provoca lo stesso sonno che la musica western-country mi agevola al secondo pezzo che sento (al primo sbadiglio, al terzo vado in fase REM).
Ho messo appositamente la locandina più incensata che ho trovato: cabarettistica.

Sinossi: solita storia dell'artista di turno che ha vissuto massacrandosi di alcol, magari pure droga, sigarette, donne a palate (in questi film le donne ottengono mediamente un ritratto da mignotte-toccata-e-fuga mica da niente! co-protagonista a parte, una specie di santa...), un figlio abbandonato da qualche parte. Tentativo di redenzione finale, e vi lascio "godere" l'epilogo... procuratevi un cuscino.

Tranne per l'attore, la droga ed il tipo di professione, è la brutta copia del già non-eccellente The Wrestler (oh, a me non è piaciuto del tutto nemmeno quello), fiction patetica tutta incentrata sul carisma dell'attore protagonista.

Ma qua c'è uno dei miti, Jeff Bridges!
Ed all'inizio vederlo entrare in una sala da bowling, lo confesso, m'ha fatto salire il sangue per lebowskyane memorie. Poi il nulla.... Ma lui è bravo, qui poi non deve dissimulare nulla, si limita a campare com'è capace.
Premiato con l'oscar per miglior attore, non saprei giudicare se meritatamente o meno. Stupisce vederlo suonare e cantare in prima persona con qualità più che apprezzabile. Fortunatamente l'ho visto in lingua originale coi sottotitoli, almeno mi sono divertito a sentire lo slang, solo che purtroppo non c'era la traduzione delle canzoni.

Assolutamente perdibile, ma non metterò mai nell'Ade Jeff Bridges.

martedì 9 marzo 2010

Il settimo continente

6
Primo film in assoluto del regista austriaco, inedito in Italia. Curiosamente, visto ora dopo molti altri, sembra un compendio di "hanekeismo", summa in opera ultima. Non sono riuscito a capire se racconti una storia vera, i titoli di coda lo fanno pensare ma non ne sono certo. Ad ogni modo, per quanto allucinante, è una storia plausibile.

Sinossi in breve: una famiglia borghesissima, coppia con una figlia, vive abitudinariamente, senza particolari problemi, se non forse l'abitudine appunto. Emerge però in tutti loro, compresa la figlia che con una millantata cecità è tra i fattori rivelatori, un male di vivere insopportabile. Con pianificazione e precisione teutoniche attueranno un auto-annientamento totale...

Piani sequenza in sequenza, troncati a colpi d'ascia come quelli che distruggeranno la casa. Frammentazione assoluta, una serie di episodi. Riprese di dettagli, quasi mai dei visi se non quando è il viso stesso ad essere il dettaglio: l'orrore si svolge sempre intorno all'immagine ripresa. E' una vita priva di continuità, meccanica fino al gesto estremo. Ogni componente della costellazione di azioni ed oggetti previsti in una vita normale viene distrutto.

In breve ed alla giapponese: Haneke Extreme! Fantastico per chi ama questo regista e sono tra quelli.
Ancora più insopportabile per chi invece già lo ritiene tale.

E' anche il primo film della "trilogia della glaciazione", che comprende inoltre "Benny’s Video" (che ho visto tempo fa ed interrotto, persino per me era troppo, ma ora DEVO assolutamente riprovare a vedere) e "71 frammenti di una cronologia del caso". Prossimamente tra le mie recensioni.

lunedì 8 marzo 2010

I diari della Sacher ed. 2001 - Bandiera rossa e borsa nera

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La recensione introduttiva di questa serie la trovate QUI.

Gloria Chilanti era ragazzina quando scoppiò la seconda guerra. Il padre, prima fascista poi pentito, venne confinato a Lipari. Dopo l'arrivo degli americani tornano a Roma ma vive da ricercato. Tra il 25 Luglio e l'8 Settembre del '43 vivono un periodo di massima libertà, mai vista prima, poi inizia la lotta partigiana, dove le donne erano le sole in grado di muoversi nella città "libera" e di mantenere comunicazioni e rifornimenti.

Con tutta la famiglia iscritta al movimento Bandiera Rossa che stampa il giornale clandestino omonimo. Il tempo libero trascorso a procurare cibo, senza la tessera annonaria la sola possibilità era il mercato nero...

Una storia tutta da godere raccontata con grandissima serenità dall'adulta nell'intervista e dalla bambina, voce fuori campo, che legge il diario scritto ai tempi.

L'ho immortalata in questa foto che apprezzo per motivi comprensibili. Gloria è dentro un Cinema. Incredibilmente, quello è stato uno dei periodi un cui, più che in altri, ha frequentato le sale del grande schermo. Nei cinema spesso trasmettevano 2 film, o a volte un film ed un spettacolo di varietà. Una volta, del tutto casualmente, ne ha visto uno con Totò ed Anna Magnani, pare sia stato bellissimo.

In mezzo a tristissimi racconti, come l'attentato di Via Rasella e la barbara rappresaglia delle Fosse Ardeatine, questo particolare mi ha come illuminato, dato una grande gioia. L'arte, sia essa cinema, teatro o quant'altro, è un oasi indispensabile anche e soprattutto in quei momenti, mantiene l'uomo vicino all'essere umano ed intelligente qual'è e deve essere.

E con questo ho terminato l'edizione 2001. L'edizione 2002 prossimamente.

I diari della Sacher ed. 2001 - Antonio Ruju: vita di un anarchico sardo

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La recensione introduttiva di questa serie la trovate QUI.

Dalla Sardegna, analfabeta, figlio di un socialista perseguitato dai potenti locali, sbarca scalzo a Civitavecchia stupito che la gente che ci viveva fosse come lui, solo che avevano tutti le scarpe. Corso per diventare finanziere e ci riesce. L'antifascismo ed atti eroici che gli valgono la medaglia d'onore che rifiuta perché lui combatteva convinto che l'ideale anarchico avrebbe trionfato. La delusione. Commercialista in Piemonte, persino la ricchezza giocando in Borsa a Milano, in giro per il mondo a spenderla tutta, in vecchiaia modesto economicamente ma felice.

Un ritratto dell'anarchia come ideologia pura ed essenziale, d'uguaglianza di diritti e doveri delle persone, che stupisce.
In un momento che la sola parola Ideologia pare bandita dal vocabolario comune, fa molto bene sentire questo racconto.

Totò, Peppino e... la malafemmina

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A dispetto della locandina, il film è in bianco e nero, ma non ne soffre. Campione d'incassi, nemmeno i critici di allora che quasi mai furono teneri con Totò poterono negare l'evidenza dell'umorismo travolgente di questo film che, nota bene, nei suoi momenti più esilaranti è interamente da attribuire alla super-coppia Totò Peppino.

I fratelli Capone, campagne della Campania, confinanti con Mezzacapa al quale fanno dispetti sistematicamente, hanno un nipote, figlio della sorella vedova, studente a Napoli, che s'innamorerà di una attrice di rivista e per lei finirà a Milano. Temendo un'infatuazione per una donna di malaffare, il trio andrà nel capoluogo meneghino al fine d'evitare al giovane il rischio di non laurearsi...

Si ride tantissimo. S'ascoltano anche delle belle canzoni, compreso la famosissima e bellissima Malafemmina scritta dallo stesso Totò e cantata nel film da Teddy Reno che interpreta la parte del giovane (c'è anche una partecipazione di Nino Manfredi).

Dove ci si piega in due in modo incontenibile è dopo l'arrivo a Milano. In piena stagione calda, arrivano in stazione con cappotti e colbacchi temendo nebbia e freddo. Poi in albergo subito corde per stendere trecce d'aglio, prosciutti e caciotte. E già qui...
Bisogna scrivere una lettera alla "signora" per dissuaderla dall'avere una relazione col nipote. Il testo finale risulterà essere questo:
« Signorina,
veniamo noi con questa mia addirvi (una parola) che scusate se sono poche ma sette cento mila lire; noi ci fanno specie che questanno c’è stato una grande morìa delle vacche come voi ben sapete.: questa moneta servono a che voi vi con l'insalata consolate dai dispiacere che avreta perché dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimo di persona vi mandano questo [mostra la la scatola con i soldi] perché il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo.;
Salutandovi indistintamente i fratelli Caponi (che siamo noi) »
... punti e puntievvirgola e duepunti, "abbundantis in abbundantirum", ripetizioni, equivoci fra Totò che detta e Peppino trafelato e sudato che scrive. Si può guardare un milione di volte e non fallisce mai.

C'è poi il problema di consegnarla, allora bisogna chiedere indicazioni. Un vigile, scambiato per un militare austro-ungarico (tanto è alleato!) sarà la vittima dei due campagnoli all'estero: "Bittescèn, noyo volevàn savuàr l'indiriss... ja?" e quello "Se ghé?!?" (che c'è?). Poi scoprono quindi, con sorpresa, che parla italiano: "Per andare per dove dobbiamo andare... per dove dobbiamo andare, così: una semplice informazione!" e il vigile li pianta lì chiedendogli se vengono dalla Val Brembana. Un concentrato di satira nord-sud ma anche nord-nord!

Soprattutto la scena della lettera ha fatto scuola ed è stata copiatissima, in Italia ma anche all'estero a quanto risulta.
Va be', insomma, film obbligatorio.