domenica 10 maggio 2009

Si può fare

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Film di fantasia ambientato nei primi anni '80 ma ispirato da fatti veri, narra le vicende di Nello, idealista di sinistra, e della Cooperativa 180 che si ritrova a dirigere, una "gabbia di matti" nel senso buono del termine.
Si chiama 180 come il numero della famosissima legge Basaglia, quella che nel 1978 abolì i manicomi in Italia, creando al tempo stesso una situazione di grande modernità culturale (fu la prima legge in tal senso in Europa, che io ne sappia) e delle difficoltà enormi alle famiglie che in molti casi si videro rientrare in casa persone che non erano in grado di gestire.

Nacquero comunità e strutture di ogni genere, favorite ovviamente anche da soldi pubblici. Una delle iniziative di maggior successo, la più idealista, era certo quella di reintegrare nella vita sociale quei malati in grado di lavorare. Ma come?
Nacquero tante idee. Io stesso ho lavorato da ragazzo in una cooperativa che li faceva lavorare in una mensa scolastica. Quella che racconta il film è una cooperativa che si è specializzata nella posa in opera di parquet.

Nello è spaesato sulle prime. Poi inizia a fare quello che sa fare un ex sindacalista appassionato. Indice riunioni, convoca assemblee per decidere cosa fare, tratta ogni malato come un socio ma, soprattutto, decide insieme a tutti i soci di lavorare e di farlo nel mercato libero, come ogni azienda, al di fuori dell'assistenzialismo. Ad ogni proposta dei "soci" risponde senza pregiudizi "Si può fare", ed è esattamente quello che faceva la cooperativa di Pordenone alla quale il film si ispira.
La prima sfida è con il medico incaricato dei malati. Questi li carica di psicofarmaci, che li debilitano parecchio e servono a sedarli, mantenerli tranquilli. Allora Nello riesce, con una petizione a destituirlo, prende una nuova sede, con un medico più tollerante i farmaci vengono ridotti al minimo, quando non addirittura eliminati. Il lavoro migliora, l'attività ha successo, gli appalti arrivano a pioggia, anche di alto livello, però... senza farmaci diventano anche "troppo" normali. E iniziano delle difficoltà, una delle quali potrebbe mandare all'aria completamente il piccolo miracolo che ha realizzato, ma lascio il finale.

Pur con qualche (piccolo) eccesso di ottimismo, il film ha dei richiami precisi ad altri ben più famosi e lo fa con ironia. La storia è straordinariamente commovente e divertente a fasi alterne e mi ha appassionato. Tanti piccoli episodi, che evito di narrare per non rovinare la visione, colpiscono e fanno riflettere.
Soprattutto mi ha impressionato la capacità di Manfredonia di non fare sconti a nessuno, mettendo in risalto tutti i lati, positivi e negativi, dell'approccio di Nello. Fortunatamente, e ne sono felice, i positivi sono di gran lunga preponderanti. Un'opera, come quella di Nello, Si Può Fare, e qualcuno ci riesce davvero, ne sono convinto.

Merita assolutamente una visione.

domenica 3 maggio 2009

Once Upon a Time in the Midlands - C'era una volta in Inghilterra

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Il titolo originale non dice "in Inghilterra" ma "nelle Midlands". E' quella la parte d'Inghilterra dove si svolge questa vicenda tragicomica.

Jimmy era il ragazzo di Shirley. Molto giovani avevano avuto una figlia poi Jimmy era scappato a Glasgow, a vivere di rapine ed espedienti. Nel frattempo Shirley s'è messa con Dek, ragazzo sigaligno anche un po' imbranato di tutt'altra pasta, buono e generoso. Dek non sa più cosa inventarsi per convincere Shirley a sposarlo; va addirittura in un trash-show stile "fatti nostri" e glie lo chiede in quella sede; Jimmy vede lo show e decide di tornare a Nottingham, dopo una rapina dove a frodato anche i complici dai quali viene inseguito.
Ce la farà Jimmy a far reinnamorare Shirley? E Dek come la prenderà e cosa farà per evitarlo?

Succede un po' di tutto, commovente e divertente a fasi alterne.
Bel film, ben girato, si può davvero definire "Un ritratto inglese alla Meadows" di gente comune, di piccole vite con grandi drammi, su uno sfondo sociale lontanissimo dalla city, di quartieri dormitorio, tombole, teledipendenza, dove qualche stramberia è necessaria al routinante menage.

sabato 2 maggio 2009

Defiance - I giorni del coraggio

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Il film è tratto dal libro di Nechama Tec "Defiance - Gli ebrei che sfidarono Hitler". Tre fratelli ebrei polacchi, Tuvia, Zus e Asael, scampati al massacro della propria famiglia si rifugiano nei boschi.
Presto vengono raggiunti da altri fuggitivi, con donne, bambini, anziani, e i fratelli, quasi loro malgrado, si trovano con un'intera e copiosa comunità da accudire e sfamare. Dal 1941 al 1943 si rifugeranno, raggiungendo nella fuga la Bielorussia, costantemente braccati dai nazisti ed alla fine ne sopravviveranno circa 1200.

E' narrato il primo anno, il più difficile coi nazisti sempre alle calcagna. Ci sono tutti gli ingredienti che purtroppo conosciamo: la fame, il terrore, combattimenti, scelte difficili da prendere, l'imbarbarimento dei costumi. Tuvia e Zus sono i 2 fratelli più anziani e arriveranno ad un rottura: nel primo prevale la voglia di salvare il maggior numero di persone, nel secondo la voglia di combattere al fianco dei partigiani. Per un lungo periodo questo li dividerà.

Non un grande film. Sviluppo della trama, recitazioni, fotografia, me lo hanno fatto sembrare più una fiction. Ma è di altissimo interesse storico. La vicenda è davvero poco nota.
Stante il luogo comune che spesso si sente dire, che gli ebrei non lottarono per la propria vita, per difendersi, bisogna davvero che qualcuno cominci a ricredersi. Io sapevo dei tantissimi ebrei unitisi ai partigiani anche in Italia, o agli eserciti locali talvolta persino millantando false identità e questo già mi bastava. La storia eroica dei fratelli Bielski è un'ennesima conferma.

Merita una visione.

Gran Torino

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Lo stesso Eastwood interpreta Walt Kowalski. Fresco vedovo della amatissima moglie, reduce della guerra in Corea, pessimo rapporto coi 2 figli e relativi nipoti che valuta come smidollati, un carattere orgoglioso ed arcigno. E' molto anziano e certamente non in buona salute. Simbolo del suo viscerale conservatorismo una splendida Ford Gran Torino, macchina sportiva del 1972 conservata maniacalmente. Alla Ford ha lavorato una vita come operaio di linea.

Della Corea conserva un odio viscerale per i "musi gialli" ed è razzista a prescindere per tutto ciò che non è "americano". Un problema non da poco, visto che il quartiere dove vive è una vera enclave di popolazione di etnia Hmong (Cina, Vietnam, Laos) arrivata in america dopo il Vietnam.

In particolare i suoi vicini di casa, una famiglia senza padre con chiare difficoltà di vita nella comunità, bersagliata da una gang di bulli di stessi Hmong, diventeranno suo malgrado il suo cruccio. Prima per disprezzarli ed evitarli, poi invece affezionandosici, in particolare al ragazzo Thao del quale ne diventerà quasi un padre putativo. Senza abbandonare del tutto i pregiudizi l'anziano Walt inizia un "percorso" di riforma interiore, con un epilogo decisamente drammatico.

Non è la prima volta che Eastwood denuncia mali sociali sia collettivi che individuali.
Il film potrebbe apparire banale a prima vista. Certe volgarità e battute da bar con cui Walt etichetta di volta in volta i musi gialli o quelli neri sono estremamente fastidiose. Ma a mio parere c'è dell'altro. Altri sono i temi fondamentali. Le volgarità, le offese continue, sono una caricatura di Walt, del personaggio che rappresenta, solo questo, volutamente banali.

Anzitutto la già citata denuncia sociale, anche se non è il tema principale. La nascita di quartieri-enclave è certamente causa di scarsa integrazione, di nascita di comunità extra-lege, di rivalità fra etnie che non cessano di essere tali e che invece di arricchire le proprie tradizioni con quelle locali rafforzano le proprie fino a farle diventare uno scudo protettivo contro la ostile società ospitante.

Poi, il tema che più ho percepito, la vecchiaia, la solitudine che la caratterizza in particolare per un personaggio come Kowalski che condensa in sé tutti i miti dell'orgoglio americano. Davanti casa sua sventola sempre la stelle e strisce. 2 automobili Ford ovviamente. Armi sempre pronte e disponibili all'occorrenza ad essere puntate contro chi, senza permesso, calpesta il suo giardino.
Non ho potuto fare a meno di pensare a Clint quando interpretava cow-boy o Callaghan, con convinzione. Che sia questo un commiato dal mondo e da sé stesso, dal cliche che (pure splendidamente) ha rappresentato?
La mano si alza a sparare con pollice ed indice. La confessione dal giovane prete, prima ed ultima della sua vita, dice molto meno di quanto non spiegherà meglio col suo gesto finale.

Un grandissimo film, da uno dei più grandi registi viventi, a mio parere.
Speriamo che la salute di Eastwood sia migliore di quella di Kowalski così da poter vedere altro in futuro da lui.

My beautiful laundrette

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Omar e Johnny, pakistano il primo ed inglese il secondo, scoprirono e si ricambiarono la loro omosessualità fin dal liceo. Dopo un breve distacco si reincontrano quasi per caso, proprio mentre un gruppo di fascisti di cui Johnny fa parte va ad importunare Omar.

Omar, che sta aprendo una lavanderia grazie all'aiuto di uno zio affarista, assume Johnny a lavorare con sé...

Emerge di tutto in questo film davvero controcorrente, se poi pensiamo a quando è uscito.

Anzitutto il rapporto particolare tra i 2 amanti. C'è amore ma anche molta rivalsa. Omar non dimentica le umiliazioni subite in passato, come non dimentica i trascorsi fascisti di Johnny, il cui vecchio gruppo di amici tormenta continuamente l'attività intrapresa da Omar.

C'è poi il pregnante intreccio affaristico-parentale con la comunità pakistana, nella quale sono presenti personaggi di ogni genere, tutti comunque accomunati dalla voglia di affermarsi in un ambiente sostanzialmente ostile del quale il gruppetto di fascisti ne è metafora solo più esplicita di altre.

Una perla, imperdibile.

venerdì 1 maggio 2009

Sammy and Rosie Get Laid - Sammy e Rosie vanno a letto

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Sposati, vivono a Londra. Lei americana con un'infanzia tormentata. Lui indiano, figlio abbandonato in tenera età di un padre che è stato un cinico ministro pakistano.
Hanno una relazione all'insegna del permissivismo reciproco, entrambi con amanti dichiarati. Il padre, in declino, viene a trovarli nella speranza di recuperare sia il loro amore che l'amore perduto di una donna amata in gioventù quando viveva anch'egli a Londra.

Una trama anche semplice, commedia con connotati divertenti, ma tutto si svolge in un quartiere periferico della città che sembra una banlieu parigina. Con una fotografia molto sgranata, Londra appare una specie di incubo underground in cui tutti i mali storici, il razzismo, le diseguaglianze emergono prepotentemente.

Film particolarissimo, da vedere senza meno.
Curiosità: prima partecipazione ad un film di Roland Gift, voce e leader dei Fine Young Cannibals.

Breaking the waves - Le onde del destino

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C'è del Genio in Danimarca, e qui l'affronto per la prima volta.

"Breaking the waves" il titolo originale, più forte, una rottura delle onde più che un destino, parola che connota più spesso la fatalità che non la determinazione. Sono Onde di cultura, mentalità, religiosità dura e bigotta, rigida applicazione di dettami imposti dagli uomini e non certamente da dio o da chi lo ha incarnato in terra, a volte onde anche del mare, quelle che cercano di smuovere Bess da una fede, la sua Sì pura e incrollabile, nell'amore.

Una trama che è un peccato rivelare.
Sceglie lo spettatore cosa Bess può rappresentare: una pazza, una vittima, una santa.
Tutto dipende dal proprio stato d'animo e dalla propria mentalità.

Film eccezionale e sconvolgente.