mercoledì 31 dicembre 2008

La sposa turca

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Orso d'Oro a Berlino, è la storia di 2 turchi-tedeschi che vivono ad Amburgo e le cui vite s'incontrano in una clinica che cura chi tenta di suicidarsi. Lui, Cahit, è un uomo allo sbando più di totale, fuso da alcol e droga, dopo una triste esperienza d'amore. Lei, Sibel, giovane e bella, è alla disperata ricerca d'una via d'uscita da una famiglia musulmana molto all'antica che la "strangola", quando invece, come le altre sue coetanee, vorrebbe vivere libera con la mente e, soprattutto, col corpo.
Sibel chiede a Cahit di sposarla, solo modo per uscire dalla casa prigione, a patto che entrambi conducano poi la vita di sempre. Lo faranno. Tra i due però il "patto" viene fatalmente a decadere.
Ricominciare ad avere una casa pulita, un piatto ben cucinato in tavola, una buona compagnia, una bella e giovane donna vicino... e insomma, sono cose che turbano anche il più burbero dei personaggi.
Il suo innamoramento, ormai di fatto corrisposto da Sibel, gli sarà purtroppo fatale. I mesi precendenti, libertinamente trascorsi da entrambi sin dalla prima notte di nozze, presenteranno il conto...

Un bel film. Bravissimi i 2 attori protagonisti. Da vedere.

Un bel ritratto delle note difficoltà di vita per gli immigrati, in particolare per i loro figli, in contesti sociali dove la cultura predominante differisce largamente da quella che si vorrebbe imporre nelle mura domestiche.
Non ci ho visto però un desiderio di enfatizzare gli aspetti sociali e questo me lo fa piacere ancora di più. Fatih Akin ha solo, secondo me, voluto raccontare una bella storia d'amore, sofferta, girando delle bellissime immagini soprattutto ad Instanbul. Bravissimo anche lui.

martedì 30 dicembre 2008

Tommy

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Tommy nasce durante la 2° guerra mentre il padre muore alla guida d'un bombardiere. Tutto normale ma subirà un "trauma" terribile per aver visto qualcosa, fatto dalla madre e dal patrigno, che non doveva.
I due gli diranno con forza che "... non ha visto nulla, non ha sentito nulla ..." e Tommy, senza volerlo, obbedirà. Diventerà cieco, sordo e muto.
Inizia una vita fatta d'ogni genere di tentativo compiuto dai genitori, in particolare dalla disperatissima madre, per guarirlo o anche solo per affidarlo a qualcuno in loro assenza. Santoni e sette d'ogni sorta, specialisti, parenti d'una follia totale... di tutto. Poi, una svolta: l'ormai giovane Tommy, rispondendo ad un "richiamo", comincia a giocare a flipper, e diventa il super campione mondiale della categoria! Famosissimo, inconsapevole ma finalmente sorridente, porta la ricchezza in casa. Resta ancora un cieco-sordomuto, anche se... succederà dell'altro, e lì, con una energia straripante, verrà fuori un messia...

Tommy è la prima grande opera rock di sempre, anche se, come film, è uscito 2 anni dopo il più, giustamente, famoso Jesus Christ Superstar. Gli Who l'avevano già composta o meglio, il genio visionario di Pete Townshend. Un cineasta folle come Ken Russell era quello che ci voleva. Anno fenomenale quel 1975, visto che uscì anche "The Rocky Horror Picture Show".

Rocky Horror prevede parti recitate, parlate. Tommy invece, come Jesus Christ, è interamente cantato, proprio come le opere classiche. Tutto, dialoghi compresi. La musica non conosce sosta e fino alla fine è un crescendo pauroso!

Indubbiamente non è, Tommy, cinematograficamente parlando, al livello degli altri 2 miti citati. Qualche "banalità" lo rende anche simpatico se vogliamo, in fondo è un simbolo di quegli anni e anche come tale va visto.
Se però parliamo di musica allora, con tutto il rispetto per gli "altri 2" che adoro parimenti, non c'è storia. Tommy è potenza, forza, energia folle! Sicuramente il mio giudizio è influenzato dall'esperienza personale: ho conosciuto il Rock guardando questo film casualmente, non avevo nemmeno lo stereo in casa, ero bambino... ma non vi tedio con la mia biografia.

Ripassatevi un po' l'inglese. I testi sono pregni e meritano anche una parziale comprensione. E date gas all'amplificatore, qui ci sono dei pezzi che sconvolgono.
A parte il finale rossiniano, e sorvoliamo anche su un'incredibile prete intepretato con la chitarra in mano da Eric Clapton, ci sono 2 brani che da soli meritano la visione: Tina Turner che canta Acid Queen ed Elton John che canta Pinball Wizard.
Tina è adrenalina pura. Era in piena crisi con Ike Turner, il marito, in quel periodo. Praticamente Tommy è la sola importante esperienza per lei in quei tristi anni della sua vita. Nella sua voce spaventosa si sente davvero anche la sua disperazione personale, un grido di Munch. Indimenticabile!
Elton, giovanissimo come Tina, in un teatro decanta le lodi di Tommy, vestito da par suo. Da schiantare dal ridere e da far rizzare i capelli per l'energia del suo brano. Dimenticatevi l'Elton John smoccoloso di oggi: quello era un mostro!

... see me, feel me, touch me, hear me ...

Lemon tree - Il giardino di limoni

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La storia è reale seppur non vera.
Salma Zidane (omonima del famoso calciatore, che compare anche nel film) è una donna palestinese che vive a stento in Cisgiordania coi proventi di un piccolo frutteto di limoni, al quale è legato da sempre, lo coltiva sin da bambina. Il frutteto è tutto per lei, i figli sono andati per la loro strada, il marito è morto, vive sola.

Vicino a lei viene ad abitare il ministro della difesa israeliano. Siamo nel periodo in cui israele sta costruendo il "muro", in pieno parossismo difensivistico dai terroristi. Immediatamente il giardino, coi suoi alberi, è individuato come luogo favorevole per un attacco e decidono per il sequestro dietro compenso e per l'abbattimento.
Nasce una lunga battaglia, in tribunale e sui media. Salma, abbandonata di fatto da tutti, anche dai palestinesi che non vogliono rogne col governo israeliano, trova un alleato in un giovane avvocato e alla fine... qualcosa otterrà, ma come sempre accade nei conflitti, si perde tutti.

Bel film sul conflitto israelo-palestinese, semplice e toccante.
Perfetto il finale, che vi lascio godere e che è la sintesi di cosa si è voluto rappresentare.
Incoraggiante il ruolo che le donne possono e probabilmente stanno cercando, faticosamente, di avere in quell'area del mondo.

domenica 28 dicembre 2008

Morte a Venezia

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La trama, semplice nella sua essenza, mi limito a riportarla da Wikipedia:
1911: il compositore Gustav von Aschenbach, giunge da Monaco a Venezia per una vacanza. Nell'albergo di lusso nel quale alloggia, l'artista rimane affascinato dalla bellezza del giovane polacco Tadzio, il quale sembra incarnare l'ideale di bellezza eterea a cui ha tentato faticosamente di dare espressione nelle sue creazioni artistiche.

Mentre la città è in preda a un’epidemia di colera tenuta nascosta dalle autorità, von Aschenbach, ormai dimentico della sua dignità, ...
e mi limito a non riportare il finale.

Potrei anche scriverlo il finale, non ha importanza vitale, non toglie nulla a un film che deve essere visto per comprenderne l'infinita bellezza.

E' proprio la Bellezza il vero tema del film e dell'opera letteraria, non la morte come il titolo potrebbe far presagire.

Ci sono tanti capolavori nel Cinema, fortunatamente, ma in bellezza nessuno, a mio parere, può competere con questo. Ci sono tutti gli ingredienti massimi.
Il romanzo di Mann, rappresentato con una bellezza da quadro impressionista, è una perla rara, lettura obbligatoria per chi ama i grandi scrittori, compendio al romanticismo tedesco di valore inestimabile e chi ha scritto "I dolori del giovane Werther" e "Affinità elettive" può andarne fiero.
La regia di Luchino Visconti è nobile e delicata come le sue origini, nel suo talento c'è l'eleganza italiana e il rigore di chi ama e rispetta l'arte che vuole rappresentare, senza ostentazione, con misura e maniacale attenzione ad ogni dettaglio.
La musica, divina, dell'adagietto, il IV movimento della famosissima Quinta di Mahler, la sola sinfonia che ho fatto il diavolo a quattro per andarla a vedere in teatro, suonata dal vivo. La più bella musica che mai mente umana abbia partorito, non riesco ad immaginare nulla che più mi avvicina al divino. Brividi intensi mi percorrono ogni volta che l'ascolto o che la mente mi ci trasporta in un momento di silenzio che inspiegabilmente richiama alla mia mente quella melodia, quell'arpa che abbraccia l'universo e gli archi che spandono gioia e dolore a fasi alterne.

La Settima Arte qui raggiunge la sua massima espressione
Ogni arte "primaria" è utilizzata come meglio non si potrebbe.

Questo film è un sogno. Pura Bellezza.

sabato 27 dicembre 2008

Mouchette - Tutta la vita in una notte

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Subito dopo Au hasard Balthazar il grande Bresson si cimenta ancora, e con successo, sul disagio di vivere.
Mouchette è semplicemente una ragazzina che vive una realtà diseredata, di campagna, di miseria. La madre cronicamente malata, padre e fratello dediti al traffico ed al consumo d'alcol...
Un giorno, uscendo da scuola, prende la via del bosco e vi si perderà in una notte di pioggia. Incontrerà un bracconiere... Al rientro a casa troverà la madre morente, il fratellino piccolo ancora da accudire...

Finirà come Marinella di De André?

Poesia e Dramma.
Adoro Bresson.

Caos calmo

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Il romanzo di Sandro Veronesi è bellissimo, mi ha divertito e commosso.
Il film pure, quindi primo giudizio: ottimo.

Il romanzo è scritto in forma personale, il protagonista parla e narra la vicenda.
Il film ottiene lo stesso risultato con voce fuori campo ridotta al minimo: eccellente. Ricco di spunti psicologici, tormentoni del protagonista, riflessioni sulla panchina... geniale nel suo espediente.

Il film cerca di risolvere il poco tempo che ha a disposizione con simbologia sufficiente solo a chi ha letto il libro: peccato e pazienza. Ma non tutto il male viene per nuocere: leggete il libro che è davvero un'opera che merita.

Pietro, manager di successo nel settore televisivo, durante una vacanza al mare salva una donna alla deriva. Nel mentre, la sua compagna, a casa, muore improvvisamente.
Si ritrova solo, ancora non ha sedimentato il lutto, e si sforza al meglio nel curare la figlia Claudia. Il primo giorno di scuola, mentre la saluta sulla soglia dell'istituto, le dice che non si muoverà di lì e che resterà tutto il tempo ad aspettarla, e così farà, e lo farà per tutti i giorni a seguire...
Nel frattempo in azienda si vivono tempi concitati: è in ballo una fusione con una grande multinazionale che crea scompiglio, e lui continua a restare davanti alla scuola, nei giardini.
E' Caos in azienda, è caos la sua vita, è calmo il modo in cui Pietro affronta tutto e prende le decisioni. Fantastico Moretti per questa parte. Molto bravi anche tutti gli altri attori.

Non c'è nulla dietro quel comportamento. Pietro si sente bene stando lì, altro non chiede, ma per il resto del mondo lui diventa "un tipo", persino i giornali s'interessano di lui. Quasi fosse un santone, per ogni genere di conversazione colleghi, amici, parenti lo vengono a trovare, apparentemente per chiedergli cosa sta facendo, più realmente per sfogare un'irrefrenabile bisogno di diaologo... avverranno tante cose, a volte divertenti ed altre drammatiche, ma sempre con dialoghi splendidi, dialoghi che si apprezzano molto di più nel libro e che il film ha "dovuto" tagliare.

Il filo rosso è la morte, quella di Lara, la compagna di Pietro, che lo ha spiazzato completamente.
"Io non soffro, non riesco a soffrire. Anche Claudia sembra non soffrire..." lo dice più volte. La sofferenza non emerge e nemmeno cova internamente. Spiazza anche chi li circonda, che vorrebbero fare qualcosa (e cosa poi?).
Questo modo spontaneamente razionale di affrontare la morte è la cosa che più si apprezza e più fa riflettere di questa storia.

Ottimo libro. Bel film.

venerdì 26 dicembre 2008

The kite runner - Il cacciatore di aquiloni

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Rappresentazione, tutto sommato fedele, del noto ed anche discusso omonimo romanzo di Khaled Hosseini.

Amir, afgano di Kabul ormai da molti anni americano d'adozione e diventato scrittore affermato, viene chiamato da uno zio ed invitato a tornare in Pakistan prima ed in Afganistan poi per risolvere un "vecchio debito" morale.
Amir ed Hassan, di etnia pastun il primo ed hazara il secondo erano un ricco figlio di famiglia agiata ed un figlio di servitore, nato servitore e servitore sin da bambino, della famiglia stessa di Amir. Nonostante ciò sono molto amici, hanno un legame fortissimo, che per il piccolo hazara arriva ad una fedeltà canina, mentre per Amin, per quanto il padre si sforzi di trasfondergli valori umani importanti, non è proprio così... La loro condizione di vita, per quanto si possano sforzare, non è la stessa, e le cose degraderanno.

L'arrivo dei sovietici e poi dei talebani distruggeranno definitivamente questo legame, anche se Hassan, nonostante i torti subiti, non dimenticherà mai Amir. Lo zio permetterà ad Amir, in realtà, di riscattare il suo debito verso Hassan.

E' una bellissima storia, con lo sfondo di questi meravigliosi aquiloni, le cui battaglie erano uno degli sport/giochi più apprezzati a Kabul. Scene davvero bellissime e ben girate, assolutamente degne delle "immagini" che uno può dipingere nella sua testa leggendo il libro.

Il libro l'ho volutamente letto prima, pochi mesi fa, e l'ho apprezzato.
Curiosamente sia il libro che il film, ho potuto verificare anche tra amici, hanno lasciato perplessi parecchi. Tra le critiche negative persino il fatto che il libro sia stato scritto appositamente per farne un film. E se anche così fosse? Non sta scritto da nessuna parte che un libro non debba pensare immediatamente ad essere rappresentato, ben venga anzi questo tipo di attenzione. Così come non sta scritto che una storia che parla di fatti drammatici debba necessariamente essere greve, pesante e con un tristo fine.

Sarebbe ora che gli "intellettuali" comincino ad apprezzare le opere capaci di portare messaggi importanti anche al pubblico cosiddetto, con massimo rispetto parlando, di massa. E ben venga, anche se è una storia inventata per quanto plausibile, un seppur piccolo messaggio di speranza.
Si vuole la "cultura popolare" disprezzandone le semplici leggi: è una contraddizione idiota.

Non è un capolavoro, ma è un bel film, che mi ha commosso come il libro, adatto a tutti nonostante la durezza di alcune scene.
Al più presto lo proporrò ai miei figli.

L'angelo ubriaco

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Capita che l'allievo sia più realista del re. Kurosawa in questo film manifesta palese tutta la sua ammirazione per il realismo italiano. Ambientazione a parte, sembra di vedere un film del primo De Sica, una fotografia da Rossellini, musiche (in parte composte dallo stesso regista) sontuosamente gotiche.
Non vuol essere una critica sminuente. Quest'opera è di valore storico assoluto.

Sanada (Takashi Shimura, un monumento del cinema jap) è un medico in una periferia post-bellica giapponese assai degradata, una specie di baraccopoli. Matsunaga (Toshiro Mifune, d'una bellezza apolide) è un bravaccio al servizio del "capo" di zona, assegnatario del quartiere, in attesa che esca di prigione Akada, suo "amico", forse...

Sanada è un medico straccione, si occupa di quest'area di diseredati guadagnando a stento da vivere e soprattutto non a sufficienza per bere tutto l'alcol che vorrebbe. Nonostante la persistente ubriachezza e il caratteraccio affatto cordiale è amato da molti, un vero Angelo dei poveri. La sua vita incrocerà quella di Matsunaga quando questi dovrà rivolgersi a lui per curarsi, e in questo rapporto di odio e riconoscenza si esplorerà la condizione di vita di questo popolo, in quel periodo.

Il Giappone è in una miseria nera. Una malattia la fa da padrona, come in altri stati malamente usciti dalla guerra: la tubercolosi. E' una malattia che consuma internamente e si manifesta esteriormente espettorando sangue laddove dovrebbe uscire solo aria o muco, proprio come la cloaca che, laghetto di miserabili, raccoglie attorno a sé chi vuole riflettere o solo giocare come i bambini ma che, sinistramente, gorgoglia dal suo fondo dei gas d'inquietante natura.

Tante sono poi, ancora, le riflessioni che possono scaturire, soprattutto se si conosce, anche un minimo, la storia e la cultura giapponese. Piccole frasi, pochi cenni e a volte anche qualche fotogramma trasmettono il dramma che la guerra è stata così come la rivoluzione che il popolo giapponese ha dovuto compiere per fare propri nuovi concetti. L'impatto con la cultura occidentale è stato traumatico.

Penso sempre che gli stati uniti hanno buttato 3 bombe letali su quel paese: le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, certamente le più devastanti e quella psico-sociale di Mc Arthur, la più difficile da comprendere.

Film obbligatorio per un cinefilo.

venerdì 4 luglio 2008

The Miracle Worker - Anna dei miracoli

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Anne Bancroft e Patty Duke sono le due felicissime protagoniste di questo meraviglioso film. Entrambre premiate con l'Oscar, la prima è Annie nel film, una educatrice di fenomenale tenacia, la seconda Helen, una bambina di difficilissima indole causa un handicap gravissimo che la colpisce poco dopo la nascita a seguito di una banale congestione.

Il film, successivo a diverse rappresentazioni in teatro, è fedelmente tratto da "The story of my life" scritto dalla stessa Helen Keller.
Helen è cieca, sorda e muta, vive un mondo tutto suo e la sua famiglia, per quanto benestante, non ha mai saputo come affrontare la sua situazione se non assecondandone ogni comportamento cercando di semplificarle le cose. Dopo molti anni, quando Helen ha circa 12 anni, discutono seriamente come affrontare la sua psicologia, la sua educazione, avendo rinunciato definitivamente ad ogni speranza di guarigione. L'ostinato rifiuto della madre di rinchiuderla in un istituto che l'avrebbe affiancata a malati mentali d'ogni genere (ai tempi non c'erano associazioni come La Lega del Filo d'Oro) porta ad assumere una educatrice personale, Annie appunto, la quale proviene da un istituto per ciechi oltre che da una difficile infanzia da orfana.

Annie è quasi completamente guarita dalla cecità, ha studiato molto ed ha un carattere fortissimo. Appena arriverà a casa di Helen le basterà pochissimo per comprendere la situazione e soprattutto cosa fare per affrontarla. Riuscirà nella grande impresa d'insegnare ad Helen a Comunicare, a dare un nome a ciò e a chi la circonda, a tenere comportamenti che normalmente definiamo Umani.
Come ci riuscirà? Per scoprire questo invito tutti a vedere il film.

Una storia del genere, cinematograficamente parlando, estraniandosi per un attimo dal vero dramma umano vissuto da Helen, può persino essere banale. Trame di questo tipo tendono ad essere retoriche spesso, sfiorano il patetico, puntano alla commozione inutile. Il vero dramma sarebbe stato ridurre la vita di Helen ad una fiction per idioti, ma Penn, meritevole anch'egli d'encomio come gli attori protagonisti, dimostra bravura non comune e di aver compreso sia la vita di Helen che quello che il Vero, Grande Cinema, è!

Battaglia senza amorevole ed inutile pietà, lotta anche fisica e cruenta oltre che interiore, sia di Annie che di Helen, questa era la storia da raccontare e questo Penn ha fatto magistralmente. I "miracoli" non esistono se non nella perseveranza tenace, priva d'inutili speranze infondate, della fantastica Annie che mai accetterebbe di essere beatificata.

Davvero un film imperdibile, un "must" per ogni cinefilo.
Innumerevoli le riflessioni che ispira.

lunedì 16 giugno 2008

Train de vie

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In un villaggio ebreo dell'europa dell'est si percepisce l'arrivo dei nazisti, si è a conoscenza delle deportazioni e ci si ingegna a trovare una soluzione. Il "matto" del paese ha una trovata: prendiamo un treno e facciamo tutto noi. Deportati e carnefici, tutti sono ebrei in questo falso treno che non di morte ma di vita è speranza.
Tutta la vicenda, i preparativi, le riunioni, correnti politiche interne sembra materializzare una mini-europa dei tempi in questa piccolissima realtà. Ma soprattutto, ciò che colpirà in modo incredibilmente tragicomico sarà la immedesimazione di ognuno nel ruolo che ricopre.

E' un film straordinario per interpretazione e per sceneggiatura originalissima e geniale. Il finale sarà un cardiopalma assolutamente coerente col resto del film, commedia graffiante e divertente che mai perde di vista il dramma sottostante, la tensione di chi sa, senza ragione, di poter diventare vittima della più grande atrocità.
Bellissime le musiche zigane.

Quest'opera ai più sconosciuta merita qualche considerazione "socio-culturale":
Ha fatto molta fatica ad essere riprodotto nelle sale, dove è durato pochissimo e visto quasi esclusivamente da cinefili attenti. Quando penso che han premiato quella fetecchia del film di Benigni invece che questo... ma sono americani, si sa, sono democratici: hanno pagato in tanti il biglietto? allora è un capolavoro, così ragionano. Ogni biglietto un voto. Puha!
Ben prima che Benigni decise di produrre la sua porcheria venne invitato dal regista a ricoprire il ruolo del matto del paese, il più simpatico e divertente in assoluto e lui, come attore, ne era certamente più che adatto. Ma l'italico istrione rifiutò e poi... più di uno parla di plagio per alcune scene e personaggi, e non a torto a mio avviso.

"Train de vie" non è semplicemente superiore a "La vita è bella".
E' proprio di un altro pianeta! E' Grande Cinema.

sabato 2 febbraio 2008

Carne Trémula

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Victor nasce nel 1970, in una Madrid agli sgoccioli del franchismo, silente e deserta come non sarebbe oggi minimamente riconoscibile e come già non lo era nel 1981 quando la visitai, piena di gente e di vita ad ogni ora. Nasce su un pulmann di linea, figlio d'una giovanissima donna dell'antico mestiere praticante.

Il "caso" ha segnato la sua originale nascita ed il caso contrassegnerà l'episodio che lo porterà in carcere e poi ad essere amico/nemico/ossessione di coloro che, a vario titolo, in carcere ce lo hanno condotto. La donna che voleva possedere, il poliziotto che salvandola..., il compagno di squadra del poliziotto e la di lui moglie, tutti questi personaggi intrecceranno le loro vicende in un costante e palpitante (trémula) evolversi della vicenda, senza alcun crescendo o calando.

Il film, bellissimo, è volutamente girato in cinemascope. I colori sono sempre caldi, come le situazioni, focose nella gioia e nei tormenti, nel sesso, nella gelosia, nell'intrigo. Almodóvar riesce nel difficile compito di dare ad ogni episodio e ad ogni protagonista il giusto spazio e risalto, compito davvero non facile perché il film, di durata breve (solo 100'), racconta lunghi periodi di tempo.

Bravissimi tutti gli attori. Splendide soprattutto le 2 attrici protagoniste: Angela Molina da encomio, con tempi da teatro che le donano; Francesca Neri, bellissima ed incantevole come più non s'è vista, dopo la sua felice permanenza nel cinema spagnolo d'autore.